The Manchurian Candidate
Jonathan Demme - USA 2004 - 2h 12'


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da La Repubblica (Roberto Nepoti)

     Il soggetto e i nomi sono gli stessi di Va' e uccidi, thriller politico di culto diretto nel 1962 da John Frankenheimer e interpretato da Frank Sinatra. Diverso il contesto: mentre là Raymond Shaw aveva subìto il lavaggio del cervello in Corea, diventando un killer a comando, in The Manchurian Candidate è un veterano della prima guerra del Golfo che la madre, la senatrice Eleanor, vuole insediare ad ogni costo come vice-presidente degli Stati Uniti. Il candidato è circonfuso d'aura eroica, per aver salvato da solo una pattuglia caduta in un'imboscata. Però il suo comandante di allora, Ben Marco, vive ossessionato dagli incubi del passato. Quando si rende conto che Ray non conserva il ricordo dell'accaduto, decide di andare fino in fondo. Più che un thriller schizofrenico, come il prototipo, la versione realizzata da Jonathan Demme quarant'anni dopo è un incubo fantapolitico. Ma quanto "fanta"? Racconta gli arcani del potere, le collusioni tra governo e multinazionali, il modo in cui la macchina politica crea mostri per favorire interessi economici e ideologici. Niente di più attuale, insomma; quando sappiamo che la menzogna ha dominato tutta la campagna elettorale americana e che l'inquilino confermato alla Casa Bianca (Michael Moore docet) è ben coinvolto in interessi privati. Demme, però, non si schiera da una parte politica: la senatrice di Meryl Streep, anzi, sembra un po' Hillary Clinton e il suo rampollo somiglia a un Kennedy. Meglio non andare a cercare soluzioni "a chiave", in altre parole. Lungi dal proporsi come film militante, The Manchurian Candidate vuol essere una riflessione sul potere, la manipolazione, l'eroismo (dell'ufficiale che indaga). Nell'assumere il punto di vista di Marco (Denzel Washington), risoluto malgrado la paura che la testa gli stia deragliando, Demme cade in alcuni effetti visivi inutilmente esibizionistici. Il resto è comunque potente, coinvolgente, allarmante: anche se bisogna tenere sempre innescata l'attenzione per non perdere il filo di una storia complessa, tra derive scientifiche, lavaggi del cervello, labirinti dell'inconscio. Deciso a mettere in stato di allerta il pubblico, piuttosto che a rassicurarlo, il regista dispiega tutta la sua potenza di fuoco nella parte finale, messa in scena come un incubo che si materializza in realtà. Il lavoro è di alta qualità e pone prodotto nettamente al disopra dei thriller politici correnti.