The Master
Paul Thomas Anderson - USA 2012 - 2h 17'

Leone d'argento per la MIGLIOR REGIA
Coppa Volpi per la MIGLIOR INTERPRETAZIONE MASCHILE:
Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix

    

“Se trovi il modo di vivere senza un padrone, fammelo sapere”
 

  The Master, l’atteso film di P. T. Andersonfilm successivo in archivio, racconta il rapporto che si viene ad instaurare in seguito ad un incontro casuale, tra un reduce della Seconda Guerra Mondiale, Freddie Quell (Joaquin Phoenix), violento, alcolizzato e sessuomane e il leader di una setta denominata la “Causa”, Lancaster Dodd (P. Seymour Hoffman), che si ripropone di “guarirlo”, insegnandogli a tenere a freno la sua “animalità”.
Se nel corso del film emerge chiaramente il contesto socio politico di un paese, ancora gravemente ferito dall’esperienza della guerra, nel quale hanno potuto prendere piede sette come quella di Scientology (alla quale e al cui leader carismatico Bon Hubbard il film si ispira), quello che Anderson ha voluto maggiormente sviluppare è il rapporto tra i due protagonisti: scavando nelle paure dell’uno e nelle certezze dell’altro, ha posto al centro della narrazione il tema della fragilità psicologica dell’uomo americano, in cui si può leggere il bisogno di tutta una nazione di trovare chi la soggioghi e la guidi, pur rivendicando il proprio bisogno di libertà.
The Master si può quindi considerare un film politico nel momento in cui analizza il rapporto servo-padrone, attraverso un ampio spettro di tematiche, che vanno dall’attrazione ai limiti dell’omosessualità all’idea di sanità mentale, dalla psicanalisi alla messa in discussione della percezione sensoriale.
La mancanza di linearità narrativa, di cui è stato accusato il film, in realtà è perfettamente funzionale alla diegesi.
Dopo averci presentato i due protagonisti e averci raccontato il loro incontro sulla barca, in cui Dodd con la moglie (Amy Adams) e vari adepti si sposta per l’America a raccogliere fondi e a portare la sua parola di verità, il regista segue i percorsi emotivi e mentali dei suoi personaggi, soffermandosi soprattutto sui loro incontri, in un ballo di attrazione – repulsione, scontro – incontro, che ha le caratteristiche di un rapporto di amore, come più volte sottolineato dallo stesso Anderson nel corso della conferenza stampa.
Il vero pregio del film è proprio quello di moltiplicare all’infinito questo gioco di incastri, limitandosi a porre delle domande sempre più incalzanti allo spettatore, senza dare delle risposte: si veda la locandina, che riproduce all’infinito l’immagine dei protagonisti su una superficie cristallina.
Ovviamente un ruolo fondamentale è giocato dalle prestazioni dei due attori, giustamente premiati entrambi con la Coppa Volpi. Phoenix, lavorando interamente sul suo corpo, sulle smorfie del volto, sulla gestualità nevrotica, esprime tutta la “bestialità” del suo personaggio, la cui vulnerabilità rimane però impenetrabile, quasi che Anderson non abbia voluto entrare troppo in profondità nella sua testa. Freddie è il “Corpo”, un corpo che riesce ad avvicinarsi soltanto alla donna di sabbia che ha costruito in riva al mare durante la guerra e alla quale ritornerà dopo il fallimento del tentativo di ricongiungersi con il suo primo amore Doris (che ritrova sposata a un certo Jim Day e diventata così Doris Day!!!).
Hoffman all’opposto gioca tutto il suo personaggio sul linguaggio, di cui usa tutte le sfumature dal dotto al faceto, dall’autoritario al mellifluo-seduttivo e sul magnetismo dello sguardo, ora pieno di meraviglia e di amore ora inflessibile strumento per incatenare a sé l’allievo. Sguardi e linguaggio fanno di Dodd un personaggio controverso, schizofrenicamente spezzato tra la figura del padre amorevole e quella del leader autoritario, che ha fatto di sé un culto vivente, un gigante, paragonabile al
Petroliere, ma anche al Kane di Quarto Potere
. Figura da odiare, ma che sa farsi amare.
All’estrema bravura degli attori, anche quelli con ruoli secondari, come Amy Adams, l’enigmatica moglie o Laura Dern, l’adepta, si accompagna la tecnica magistrale che guida le riprese, fatte di piani sequenza strepitosi (la scena della prigione), raffinatissimi campo-controcampo di primi piani (il test a “battito di ciglia”), carrellate lunghissime (la corsa in moto) e anche riprese con macchina a mano: un vero manuale di regia. Per non parlare della musica straniante di Jonny Greenwood dei Radiohead e della bellissima fotografia di Mihai Malaimare Jr., che, con l’uso insolito dei 70 mm., da un lato trasforma i volti dei personaggi, con le loro pieghe e le loro ombre, in mappe dell’anima, dall’altro amplifica l’infinità di paesaggi già sconfinati, in cui i personaggi si ritrovano soli, in fuga verso qualcosa di indefinito (la fuga nel campo coltivato, la corsa in moto nel Mojave).
Tutto ciò conferisce al film la dimensione epica del cinema classico, al cui respiro narrativo Anderson si ispira, senza però mai rinunciare a costruire un discorso completamente nuovo, che parla alla testa più che al cuore e che, così come fanno i suoi personaggi, non segue traiettorie precostituite. Confermandosi come uno degli autori più interessanti del cinema contemporaneo, Anderson fa un grande film sull’uomo, sulla sua ricerca di equilibrio, sulla sua insicurezza in un mondo che gli è indifferente e sfida lo spettatore a domandarsi se sia meglio un’angosciosa emancipazione che si accompagna alla solitudine, oppure una rassicurante dipendenza che si accompagna alla schiavitù.

Cristina Menegolli - ottobre 2012 - pubblicato su MCmagazine 33




promo

Stati Uniti, anni Cinquanta. Lancaster Dodd, un intellettuale carismatico, dà vita a un'organizzazione fideistica scegliendo Freddie Quell - giovane veterano della Seconda Guerra Mondiale, divenuto un vagabondo ubriacone - come suo braccio destro. Mentre l'organizzazione fa proselitismo e cresce numericamente, sarà lo stesso Freddie a metterla in discussione... Un'avventura epica e insieme intima che guarda alla genesi di una setta concentrandosi sui protagonisti e sui loro rapporti più viscerali anziché sulle conseguenze sociali del loro agire.The Master è straordinario nel fotografare il rapporto che lega i due protagonisti: inquietante e ricco di sfumature. Un film grandioso, per impianto e ambizioni, che riscrive la storia degli Usa nel dopoguerra attraverso due personaggi ignobili e memorabili, visti come due facce di una sola medaglia.

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