The Millionaire (Slumdog Millionaire)
Danny Boyle - Gran Bretagna/USA 2008 - 2h

L'ospite inatteso (The Visitor)
Thomas McCarthy - USA 2008 - 1h 44'
Il giardino di limoni (Lemon Tree)
Eran Riklis - Israele/Ger/Fra 2008 - 1h 46'

    Un Natale multietnico quello che propone quest’anno il cinema d’essai. Tre titoli, The Millionaire, L'ospite inatteso e Il giardino di limoni che giocano le carte dello spettacolo sgargiante, della solidarietà civile, delle contraddizioni politiche.

The Millionaire è quello destinato al maggior successo. Già nel titolo (in originale suona ancora meglio Slumdog Millionaire, “il milionario pezzente”) si esplicita il fulcro narrativo. Siamo in India ma la globalizzazione dei costumi ci presenta uno scenario che ben conosciamo, il quiz televisivo de “Il milionario” che da noi ha l'imprinting televisivo di Gerry Scotti. Il protagonista Jamal, un ragazzo di umili origini, sta raggiungendo la cifra record di 20 milioni di rupie e viene sequestrato dalla polizia che lo sospetta di una colossale truffa.

È un repentino cambio di registro: dall'euforia dello spettacolo catodico si passa alla brutalità degli interrogatori, il botta e risposta del quiz lascia il posto ad un affastellarsi di flash-back che danno ragione dell’inaspettata bravura del concorrente.Lo spot-lancio di The Millionaire si configura proprio come una domanda a risposta multipla che provi a spiegare come Jamal sia riuscito ad arrivare a tanto: coraggio?astuzia?ingegno?amore? (all’inizio del film appaiono comunque scelte diverse e l’ultima recita “era scritto”…), ma all’incalzante “come fai a vincere?” lui ribatte candidamente “so le risposte”: E queste scaturiscono fatidicamente dal suo vissuto, drammatico e doloroso: la madre uccisa dai fanatici islamici, un’infanzia di miseria e soprusi, l’amica del cuore Latika, “perduta” durante una fuga in treno, la separazione forzata dal fratello Salim, inesorabilmente assorbito dalla spirale di cinismo e violenza che li circonda.

Se “Il milionario” è un gioco a premi, Slumdog Millionaire è una scatola a sorpresa, un susseguirsi di colpi di scena, un debordare di immagini e suoni, in affascinante sintonia con la Bollywood-comedy. E se la firma è quella di film precedente in archivioDanny Boylefilm successivo in archivio (Trainspotting) ciò implica anche uno squarcio di impietosa analisi sociale, un’affabulazione caleidoscopica, un romanticismo lisergico, un happy-end saturo di colori e musica.

Tende al grigio invece la pigmentazione umorale di L’ospite inatteso (film precedente in archivio Tom Mc Carthy, USA) che mette in scena la metodica esistenza di Walter Vale, professore universitario ovattato da una solitudine d’affetti (da tempo è vedovo) e da una demotivazione professionale (lo stesso corso di studi da anni). Quando, per la presentazione di un libro (ma lui ci ha messo solo la firma) arriva a New York, trova il suo vecchio appartamento abitato da Tarek e Zainab (lui siriano, lei senegalese), che l’hanno “regolarmente” affittato da un amico… All’imbarazzo iniziale (reciproco) fa seguito un’altrettanto comune solidarietà. Walter li ospita, Tarek gli insegna a suonare il tamburo (djembe). L'inattesa serenità di rapporti e situazioni (il compìto professore riscopre il gusto di vivere suonando nel parco) sarà però turbata da un banale, ma inesorabile, incidente di percorso.

Tarek, fermato casualmente dalla polizia, viene arrestato per clandestinità, Zainab preferisce a questo punto trovare ospitalità altrove e l'unica cosa che Walter può fare è di procurare un buon avvocato che provi a impedire il procedimento di espulsione. L’arrivo della madre di Tarek, Mouna, prelude ad una parentesi sentimentale (anch’ella è vedova) alla quale la tensione degli eventi sembra poter lasciare spazio. Ma se la regia di Mc Carthy ha il ritmo trattenuto di un’indagine psicologica sofferta e di un’amara fotografia sociale, il lieto fine non potrebbe che rivelarsi una forzatura. Al tocco lieve con cui L’ospite inatteso cattura amabilmente la nostra partecipazione corrisponde una profonda riflessione sulle aberrazioni che la paura istituzionalizzata provoca nel tessuto della democrazia e sulla necessità di una rielaborazione personale di valori, rapporti e diritti umani.

Amaro a metà anche Il giardino di limoni. Qui la partita travalica il sociale per spingersi apertamente nel conflitto politico arabo-israeliano. Salma Zidane (Hiam Abbass - la stessa attrice che interpreta Mouna in L’ospite inatteso) ha la sfortuna di avere il suo appezzamento di alberi di limoni proprio adiacente al confine. In più ha come vicino di casa proprio il ministro della difesa israeliano così che i servizi segreti pensano bene di ingiungerle il completo abbattimento del suo frutteto (quegli alberi potrebbero essere un pericoloso nascondiglio per i terroristi che volessero attaccare la casa del ministro). Lo scontro si profila subito impari e contraddittorio: il ministro, che nei comizi si schiera contro chi vuole estirpare gli ulivi, in questo caso non intende invece opporsi alle decisione dei suoi servizi segreti. Selma, vedova, che vede in quella terra costellata di frutti gialli non solo la sua fonte di sostentamento, ma anche il legame con la propria storia familiare e la propria cultura, prova tutte le vie legali per contrastare il provvedimento. Il tribunale militare le dà ovviamente contro, dall’appello estremo alla Corte Suprema scaturirà un compromesso che farà cantar vittoria al suo avvocato, ma che lascia il suo futuro a confrontarsi con troppi alberi monchi e con un ulteriore segmento del famigerato muro.

Il giardino di limoni ha la consistenza greve di un impietoso reportage sul dramma dei territori occupati, ma anche l’amabile leggerezza di una coscienza civile che nessuna recinzione può umiliare. Quello che Eran Riklis film successivo in archivio (La sposa siriana) cerca di far emergere è la responsabilità collettiva nella vanificazione del processo di pace, “esterna” ed “interna”. Se la disputa è regolata da un potere militare assoluto e “straniero”, non è meno arido l’atteggiamento della comunità palestinese verso l’indomita presa di posizione di Selma, verso il suo cercare conforto (anche affettivo) nel giovane avvocato che la sostiene. L’unico sguardo benevolo sembra essere rivolto alla sensibilità femminile.
Alla caparbietà di Selma fa sponda, dietro quella rete di confine, il moto di reazione di Mira, la moglie del ministro. È affidata a lei, nel finale, l’unica rivolta possibile (lascerà, disgustata, casa e marito) e se l’immagine chiave è certo quella distesa di limoni destinati al massacro, il senso profondo del film sta in quella furtiva stretta di mano tra le due donne, così diverse, apparentemente nemiche, ma solidali nel comprendere l’assurdità di una politica arida di umanità quanto un frutteto senz’alberi.

ezio leoni - La Difesa del Popolo  21 dicembre 2008


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L'ospite inatteso  Walter Vale, professore universitario, conduce una vita stanca e monotona. Fino a quando parte per un convegno a New York e scopre che il suo appartamento cittadino è occupato da una coppia di stranieri, il siriano Tarek e la senegalese Zainab. Anziché cacciarli, stringe con loro un'insolita quanto profonda amicizia, che proseguirà anche quando Tarek, dopo avergli impartito i primi rudimenti di tamburo, finisce in un carcere per clandestini... Un delicato apologo senza retorica e senza proclami, sorretto dall'idea semplice che lo straniero non è per forza un pericolo ma può essere un ospite, magari un amico, grazie a cui riflettere sul proprio vivere.

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Il giardino di limoni Una vedova palestinese ha la sfortuna di avere il suo appezzamento di alberi di limoni proprio adiacente al confine. Quando il ministro della Difesa israeliano diventa il suo vicino di casa e per la sua sicurezza i servizi segreti pensano bene di ingiungerle il completo abbattimento del suo frutteto, comincia una disputa che si trasforma in una questione di Stato... Quello che Riklis cerca di far emergere è la responsabilità collettiva nella vanificazione del processo di pace, “esterna” ed “interna”. Con un racconto lineare e senza troppa retorica, il film ha la consistenza greve di un impietoso reportage sul dramma dei territori occupati, ma anche l’amabile leggerezza di una coscienza civile che nessuna recinzione può umiliare.

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TORRESINO - febbraio 2009

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