Una volta nella vita (Les héritiers)
Marie-Castille Mention-Schaar - Francia 2014 - 1h 45’


  Nella banlieu di Créteil, a sud-est di Parigi, il crogiolo di etnie e differenti confessioni religiose ha numeri ben sopra la media. Al liceo Léon Blum, in particolare, c'è una classe multiculturale litigiosa e indisciplinata che crea problemi al preside e al corpo docente. Solo la professoressa di storia, Anne Gueguen, pare essere in grado di farsi ascoltare da quei ragazzi. Non solo: contro il parere di tutti, inizialmente scoraggiata dagli studenti stessi, la Gueguen sceglie proprio la seconda esplosiva, anziché la gemella "europea" e più disciplinata, per partecipare al concorso nazionale della Resistenza e della Deportazione (CNRD) indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione. L'incontro con la memoria della Shoah avrà un impatto indelebile sulla vita e sul comportamento dei ragazzi della banlieu.
Fuor di finzione, l'esperienza reale del concorso letterario è stata di grande stimolo per il giovane Ahmed Dramé, che ha contattato la regista Marie-Castille Mention-Schaar e rievocato con lei quell'anno di liceo, e fornendole la base di partenza per questo film: una sorta di fratellino ingenuo ma felice de La classe di Cantet, cui deve molta ispirazione, pur non eguagliandone la statura cinematografica.
Là, si trattava soprattutto di una guerra di parole: una lotta dura per avere l'ultima, e la presunta verità, tra arroganza e potere. Qui, quello che la professoressa insegna con successo è l'esatto contrario: il dovere, prima, di trovare le proprie parole, e di non cadere nella trappola terribile del silenzio-assenso, e poi di fermare quelle stesse parole, non solo quelle irrispettose e inaccettabili, ma tutte, e di opporre loro un silenzioso rispetto. Quando, nel museo dell'Olocausto, sono le ragazzine stesse a dire con un fil di voce che hanno deciso di trattenersi, che l'altro impegno è rimandabile mentre questo no, il film è arrivato a segno, nella sua vocazione didattica e non solo.
Appesantito inizialmente da un prologo a tesi sul muro contro muro tra la legge francese e l'identità culturale in materia di velo sul capo delle donne, con il tramite tenero e serio allo stesso tempo di una grande attrice, Ariane Ascaride,
Una volta nella vita diventa in corso d'opera un film più che riuscito, anche perché perfettamente adeguato alle ambizioni di partenza. C'è un momento preciso che decreta la vittoria del film sul rischio di scivolare nel cliché, ed è il momento in cui l'ex deportato Léon Ziguel parla al gruppo di attori e comparse, tutti studenti. In quel momento, girato per forza di cose in un'unica ripresa, la finzione che struttura il film e la realtà storica che lo sostanzia raggiungono la simbiosi e la classe si apre ad annettere il pubblico tutto, in sala o altrove.
La scuola, origine e destinatario ideale di questo lavoro, è ritratta, con ottimismo e speranza, come il luogo possibile della trasmissione, non solo del sapere, ma ancor più del saper imparare.

Marianna Cappi - mymovies.it


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Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi: una scuola che è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali. La professoressa Anne Gueguen propone alla sua classe più problematica un progetto comune: partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Un incontro, quello con la memoria della Shoah, che cambierà per sempre la vita degli studenti. “È un film ottimista, tanto più che la storia è vera, e dimostra che appassionare i più irrequieti è possibile. A condizione che li si metta al centro di un processo pedagogico" ha dichiarato Marie-Castille Mention-Schaar. "Gli studenti cominciano a interessarsi al concorso da quando ne diventano parte attiva. Con un momento chiave: l’incontro con un testimone, Léon Zyguel, deportato quando era adolescente"...

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