Vania sulla 42a strada (Vania on 42nd Street)
Louis Malle - USA 1994 - 1h 59'


Parole. Quasi solo parole. Parole e volti, parole e luci, sguardi e discorsi. Chiusi in un fatiscente teatro della 42a strada di Manhattan, un po' cripta gotica, un po' caverna di Platone, il regista André Gregory e i suoi attori provano - senza costumi, senza quinte teatrali, senza "messinscena" né finzione - il testo immortale dello Zio Vania di Cechov. Teatro nel teatro, dunque: ma anche cinema. Cioè ritmo, visione, emozione. Con una regia misuratissima e struggente, Louis Malle ritrova la troupe di un suo vecchio film americano (My Dinner with André, 1981) e scava dentro la malinconia del capolavoro cechoviano con un accuratissimo gioco di piani sequenza e di primissimi piani. Nelle luci fioche del teatro vuoto, sullo sfondo di marmi scalcinati o nel buio pesto del nero di scena, Malle fa di ogni volto un'architettura visiva, evita la banalità del campo/controcampo e aggira la tentazione del primo piano televisivo. Fra sussurri scopici e grida dell'anima, ci si sente dalle parti di Bergman o del Woody Allen di Interiors. E si esce dal cinema col cuore gonfio di gratitudine verso chi, per due ore, ha saputo farci ritrovare il sentimento della malinconia della vita. Esplosivo.

Gianni Canova - La Voce


Non capita tutti i giorni di avere come sceneggiatori Anton Cechov e film precedente in archivio David Mamet film successivo in archivio suo esimio traduttore! Ecco perché ho voluto portare sullo schermo Zio Vania... Cecov lo adoro da sempre, Zio Vania in particolare; nel personaggio dello zio ipocondriaco che sente di invecchiare e si preoccupa di "cercare l'alba di una nuova vita" l'autore si identificava sicuramente. Un giorno ho visto a New York una originalissima versione di Uncle Vania allestita da una compagnia improvvisata in un teatro abbandonato di Broadway; il regista (André Gregory) e l'attore principale (Wally Shawn) erano due miei vecchi amici... Più che di una rappresentazione, si trattava di una sorta di ricerca-esercizio su Checov e l'attore, una prolungata "ripetizione" in progress della "pièce", un work in progress senza costumi né scenografia né palcoscenico (i pochi spettatori - una ventina - invitati volta per volta sedevano vicino agli attori che recitavano in sala). Grazie a quest'aura insolitamente intimista e al calore creati dagli interpreti, e alla splendida traduzione di David Mamet, questa "piéce" che conosco a memoria mi fece un'impressione memorabile...
André Gregory, regista notissimo in America, ha compiuto un autentico miracolo: zio Vania, il dottor Astrov (difensore delle foreste: le sue tirate ecologiche antelitteram sono di una modernità incredibile, si direbbe che queste pagine siano apocrife), Elena Andreevna, Sonia e gli altri personaggi della "pièce" cechoviana diventano nostri fratelli, i loro problemi li riconosciamo come nostri: la solitudine, la disperazione di invecchiare, l'avvenire dell'umanità - "l'uomo non fa che distruggere!", "quando manca l'autentica vita si vive di miraggi" - i giochi d'amore senza costrutto... Questa "pièce" profetica sembra un'anticipazione di La regola del gioco di Renoir.
Gregory e compagni hanno compiuto un altro miracolo, restituire ai testi di Checov quella componente di comicità che egli invano rivendicava contro le assurde interpretazioni "tragicizzanti" di Stanislavki che purtoppo hanno fatto scuola. Eh sì, in Checov come nella vita convivono una disperante malinconia e un'irresistibile comicità che vanno molto bene insieme; i suoi personaggi sono talmente disperati e patetici che si autoderidono.
Non è possibile che uno spettacolo così irresistibile si perda, mi dissi uscendo dalla rappresentazione...

Louis Malle (intervista di Aldo Tassone - La Repubblica)

pieghevole LUX - gennaio/aprile 1995