Il vento che accarezza l'erba (The Wind That Shakes the Barley)
Ken Loach - Francia/Irlanda/Gran Bretagna 2006 - 2h 04'

Palma d'oro

da Il Messaggero (Fabio Ferzetti)

   Un popolo spaccato in due. Una resistenza divisa. Una famiglia così lacerata che un fratello finisce per sparare all’altro fratello. Solo Ken Loach avrebbe potuto raccontare come iniziò la guerra civile nell’Irlanda del 1920-21 con tanta straziata precisione, tenendo insieme il grande affresco e i piccoli personaggi (la Storia si racconta dal basso), la rivolta contro la secolare occupazione inglese e i meccanismi che finirono per dividere gli insorti e armarli gli uni contro gli altri. E’ una dinamica implacabile: dall’oppressione alla rivolta. Dalle prime vittorie al contropotere popolare (tribunali autogestiti, ferrovieri che rifiutano di trasportare soldati e armi inglesi). Dal trattato di pace strappato agli inglesi, alle divisioni intestine che minano l’unità irlandese. Di qua chi pensa non si possa ottenere di più e vuole giurare fedeltà alla Corona (col sostegno dei potentati economici irlandesi). Di là gli altri, che urlano al tradimento. Il vento che accarezza l’erba rievoca quegli anni sanguinosi fondendo rabbia e pietà, paesaggi struggenti e atrocità inenarrabili. Il tono è malinconico, dolente, a tratti quasi didattico; la materia così intricata che Loach non sempre ritrova (e forse non cerca) il palpito romanzesco di Terra e libertà. Se ne esce sconvolti e frastornati. Palma d’oro a Cannes: controversa, ma doverosa.

[..] The Wind that Shakes the Barley completa il quadro con altre preziose notazioni sul ricordo della Grande Guerra; il contropotere organizzato dall'Ira, che mobilita contro gli inglesi i ferrovieri e gestisce tribunali propri; il ruolo delle donne non solo nella memoria collettiva ma nella giustizia (da antologia anche il processo popolare contro un usuraio).
Tutto organizzato dal fedele Paul Laverty in un copione che fonde al contesto storico figure vibranti di vita. Eppure qua e là qualcosa sfugge, la materia è forse troppo complessa per un film di due ore, Loach ci strazia il cuore e la mente evitando con molta cura il facile spettacolo della violenza... Speriamo di sbagliare, ma sarà difficile che i "disobbedienti" di oggi, a tutte le latitudini, riconoscano le proprie inquietudini nei dilemmi mortali dei loro antenati irlandesi. Che invece, è inutile dirlo, contengono tuttora un insegnamento inestimabile.

da Film Tv (Mauro Gervasini)

        Ma Ken Loach è un grande regista? Interrogativo quanto mai attuale mentre è in sala Il vento che accarezza l'erba, storia del dissenso fratricida che intorno al 1920 spaccò in due il movimento repubblicano irlandese, mettendo una parte contro l'altra e favorendo la sopravvivenza di un impero, quello britannico, altrimenti moribondo. Palma d'oro a Cannes, per più di un commentatore immeritata. Il nocciolo della questione non è ideologico ma cinematografico. Si accusa Loach di privilegiare il didascalismo, la trasparenza, l'immediatezza del "contenuto" rispetto alla drammaturgia e alla messa in scena. Forse però il dilemma è malposto. Proviamo quindi a cambiare la prospettiva. Rispetto ad altri registi (forse a tutti gli altri registi) Ken il rosso è spinto da una urgenza sociopolitica titanica e granitica. L'essenza del suo cinema è l'equilibrio tra militanza e narrazione. La prima non può fare a meno della seconda, e questo è ovvio - ma anche la seconda non può fare a meno della prima, e questo rappresenta la cifra personale del nostro (e dello sceneggiatore Paul Laverty). A volte l'equilibrio è perfetto - come nei primi film e in Sweet Sixteen - altre più faticoso, specie se l'ottica della militanza letteralmente sconfina nei territori della Storia, quindi Terra e libertà, La canzone di Carla e Il vento che accarezza l'erba. Perché, però, nonostante gli intoppi, i dialoghi non sempre ispirati, i repentini e improvvisati cambi di registro o i troppi sottintesi, non si può che continuare ad amare il cinema di Ken Loach? Perché a volte anche le persone contano. E noi qui parliamo di un cineasta che non ti imbroglia mai, e ha della rappresentazione una concezione talmente ferrea, a volte addirittura cocciuta, da risultare una quintessenza di moralità in atto. Questa rettitudine a priori, e la recherche di un equilibrio difficile, preservano il nostro dalla retorica. Il fatto di essere didascalici, va da sé, non significa automaticamente essere declamatori. Lo dimostra proprio Il vento che accarezza l'erba, quando il macchinista ferroviere, il navigator, verso il finale fa il discorso in difesa degli originari principi socialisti della lotta irlandese contro la Gran Bretagna. Non c'è nessuna enfasi nel suo discorso, caso mai disillusione, che poi deve essere la stessa del regista. Il quale, proprio per l'onestà intellettuale di cui sopra, probabilmente non l'ammetterebbe mai.

da La Stampa (Lietta Tornabuoni)

        Loach, l'amico del popolo, affronta in modo diretto il conflitto anglo-irlandese, nato nel XII secolo, in uno dei suoi momenti più crudi. Subito dopo la prima guerra mondiale, le elezioni del 1918 vennero vinte in Irlanda dagli indipendentisti del Sinn Fein, i cui deputati non andarono al parlamento inglese ma si riunirono in assemblea a Dublino proclamando l'autononia di tutta l'Irlanda e formando nel 1919 il governo presieduto da De Valera. Seguirono due anni di guerriglia (sempre rispettosi del voto popolare e della democrazia, gli inglesi rifiutavano il risultato delle elezioni), finché dopo lunghe trattative nel 1921 venne firmato un trattato che istituiva lo Stato Libero d'Irlanda: ma conservando in forma di dominion la dipendenza dell'Irlanda dall'Inghilterra. Questo trattato divise violentemente il movimento irlandese: alcuni pensavano che nelle trattative si fosse ottenuto troppo poco, altri invitavano alla pazienza e alla gradualità.
È questo il periodo che Ken Loach ha scelto per il suo film, riproducendo la struttura classica d'ogni guerra di guerriglia: oltre agli scontri, la violenza aggressiva insita nella natura umana, specie dei giovani; l'attacco, l'impulso a diventare feroci, le tregue vittoriose ma precarie. E i ragazzi irlandesi rifugiati in montagna, i rastrellamenti avversari, le torture inflitte dagli inglesi per indurre gli irlandesi a fare la spia (denti e unghie strappati con le tenaglie, colpi al ventre e ai genitali con il calcio del fucile), le case bruciate e le famiglie maltrattate per vendetta). Il film fa pure capire come le guerre, indipendentiste o no, sembrino sempre uguali: la scissione del movimento, i sacrifici totali gettati al vento, le morti inutili.
Lo stile ammirevole di Ken Loach induce alla stessa compassione per i giovani patrioti irlandesi e per quelli divenuti per colpa della guerra come bestie. In quel periodo erano stati mandati dalla Gran Bretagna per combattere gli irlandesi i framigerati «Blacks & Tans», che provocavano distruzione e caos uccidendo, arrestando, insultando e urlando, dando fuoco a case e villaggi, terrorizzando brutalmente la comunità: è questa la parte più emozionante del film colmo di indignazione. Le parti non di azione ma di dolore (morti, funerali, addii, momenti sentimentali) sono invece pervasi da sofferenza e malinconia tristi e profonde.
La storia è vissuta attraverso due fratelli, un medico da poco laureato che vorrebbe fare il suo lavoro anziché combattere, e un ragazzo più aggressivo e patriota. Il film bello, struggente, è tuttavia la cronaca d'una vittoria ancora incompiuta. Ha detto Ken Loach, ritirando commosso la
Palma d'Oro all'ultimo festival di Cannes: «Da allora, gli inglesi si sono ritirati. Non ci sono più, in Irlanda. E' un elemento di speranza».

 

promo

Irlanda 1920. Contadini e operai delle campagne si uniscono per reagire agli uomini dell'esercito britannico sbarcati in forze sull'isola per impedire qualsiasi tentativo di rivendicazione di indipendenza. Damien, che sta per partire per Londra per consolidare la sua professione di medico, decide di restare per lottare a fianco del fratello Teddy, si troverà a confrontarsi su sponde opposte con il proprio stesso sangue: "È facile sapere contro cosa si combatte. Più difficile è sapere in cosa davvero si crede".
Un Loach come sempre appassionato, vigoroso nella descrizione delle violenze, didascalico nella rappresentazione dei fronti di lotta. E la malinconia sul fatale (o quasi) fallimento della rivoluzione, è amara e dolorosamente perplessa.

TORRESINO dicembre 2006
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