Vizio di forma (Inherent Vice)
Paul Thomas Anderson - USA 2014 - 2h 28'



 

   Non molti registi oggi possono dirsi Autori con la maiuscola, soprattutto in America. Ancora più rari sono gli scrittori rimasti sordi alla forza d'attrazione del cinema, oggi che i diritti d'adattamento dei libri si comprano quando il manoscritto è ancora in bozze. Basterebbe questo, oltre alla statura di Paul Thomas Andersonfilm precedente in archivio, a fare di Vizio di forma primo romanzo del leggendario Thomas Pynchon mai arrivato sullo schermo, quel che si dice un evento. Curiosamente però il settimo film del regista (...) è forse anche il suo lavoro più accattivante e per dirla tutta divertente. Soprattutto per chi guardi agli anni degli hippies e della controcultura con un minimo di affetto se non di nostalgia. E conceda ogni umana comprensione alle debolezze di 'Doc' Sportello (un meraviglioso Joaquin Phoenix), nipotino di Philip Marlowe tutto sandali, spinelli e basettoni extralarge, che galleggia come può alla superficie di una California in piena transizione: dall'epoca della controcultura a quella di Nixon e poi Reagan; dalle good vibrations ai misfatti della speculazione edilizia; dalle onde del surf a quelle sempre più alte del denaro sporco che avrebbero cancellato come uno tsunami un'epoca e i suoi sogni. Naturalmente P.T. Anderson, che a Los Angeles è nato proprio nel 1970, l'anno in cui si svolge Vizio di forma, non è il primo a calpestare questo terreno. E se il suo "Doc" sportello sembra un incrocio tra il marlowe di Chandler e il Grande Lebowski dei fratelli Coen, da Altman (Il lungo addio) a Chinatown di Polanski, lunga è la lista dei film che hanno esplorato il lato oscuro della metropoli californiana. La novità è nel tono divertito e postmoderno, fedelissimo a Pynchon, con cui il film dettaglia le peripezie di questo investigatore e la follia del mondo circostante. Scolpendo a colpi di situazioni assurde e di personaggi multistrato un microcosmo surreale e violento, repellente e affascinante, ma anche infinitamente più fantasioso, e paradossalmente leggibile, di quello in cui viviamo oggi. E l'inevitabile effetto nostalgia che aderisce a ogni film in costume come una seconda pelle. I pericoli di ieri diventano a distanza semplici spauracchi: Le minacce di un'epoca lontano si traformano in villan, cattivi da cinema, personaggi pittoreschi. Come gli sbirri corrotti della polizia di Los Angeles, o quella misteriosa goletta in Rada, la Golden Fang (Zanna d'oro) che nasconde un traffico d'eroina, ma anche un'associazione di dentisti dediti ai piaceri proibiti come la droga e l'evasione fiscale. Mentre nel passato di Doc, e nelle pieghe della città, spuntano a getto continui figure non si sa se più allarmanti o esilaranti: un sassofonista creduto morto che forse è una spia, serafiche ex-tossicomani dai denti rifatti, zelanti massaggiatrici orientali pronte a offrire servizi particolari, una procuratrice distrettuale molto perbenista ma sensibile al fascino hippy di doc (Reeese Whiterspoon), una ragazza ricca e scappata di casa di nome Japonica (i nomi di Pynchon sono un capitolo a parte). E il peggior rivale in amore che potesse capitare a sportello: un immobiliarista ricchissimo e brutale che dopo avergli soffiato la deliziosa Shasta (l'atipica Katherine Waterson, una delle migliori sorprese del film), è sparito e forse è in pericolo. Tanto che in apertura la sfacciata si rivolge proprio a Doc per ritrovarlo, dando il vai a quella sarabanda di personaggi senza identità certa e di domande senza risposta che costituisce la stoffa del racconto e al tempo stesso la sua consistenza in certo modo filosofica. Perché anche se ogni oggetto ha colori accesi e ogni comprimario , poliziotto e gaudente, seguace di di setta new age o motociclista della Fratellanza ariana indossa la divisa della propria sottocultura, il labirintico Vizio di forma è un grande film sul dubbio. Che trova nel perenne stupore di Phoenix e nell'ambiguità totale del suo sprezzante antagonista, l'agente Bigfoot (un fenomenale Josh Brolin), poliziotto, attore tv, supermacho ma forse gay e chissà che altro, il suo punto più alto. Anderson ha fatto film più nuovi, radicali e ambiziosi. Ma Pynchon non poteva trovare di meglio.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero 

   Ispirata al modello di Il lungo addio di Chandler, Vizio di forma è una detective story virata in versione psichedelica e intessuta di citazioni fra cultura alta e cultura pop. (...) Primo regista ad aver avuto l'ardire di trasporre sullo schermo un romanzo di Thomas Pynchon, P. T. Anderson ha condensato la fitta materia della pagina concentrandosi soprattutto sul malinconico sentimento crepuscolare che caratterizza Doc, costretto - nella fatidica estate 1970 del processo a Charles Manson - a prendere atto che i valori libertario-anarcoidi degli anni '60 stanno tramontando; e che l'Età dell'Acquario sta cedendo il passo all'Età della Paranoia. Forse per questo, mentre nel libro la cornice è dettagliata, il copione ha i confini vaghi del sogno. (...) Per chi non abbia letto il libro non è facile seguire personaggi e snodi narrativi, ma il suggerimento è di lasciarsi andare al ritmo ipnotico del film. A non porsi troppe domande il viaggio ripaga, avvolgendo lo spettatore nella sua nebbia evocativa. Basettoni e capigliatura afro, Joaquin Phoenix conferisce a Doc il suo denso spessore e la sua sognante ombrosità; il solido Josh Brolin incide un magnifico Bigfoot, Wilson è uno svagato Coy, la colonna sonora di Jonny Greenwood mescola suggestivamente motivi d'epoca e musica originale.

Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa




promo

California, fine anni Sessanta. Doc Sportello, un investigatore privato dedito al surf e alle droghe, viene contattato da una vecchia fiamma che lo mette a conoscenza di un complotto per rapire il suo nuovo amante, un costruttore miliardario di cui è veramente innamorata. Prima ancora di avviare le indagini, il detective viene arrestato con l'accusa di aver ucciso un bodyguard dello stesso costruttore... Anderson, partendo dal romanzo cult di Thomas Pynchon, porta qui, ancora una volta, il cinema per lui importante (Altman in primis) e insieme l'amore per la costruzione intrinseca di situazioni e psicologie. E la bellezza del film sta nelle sue immagini, nel suo movimento narrativo, in quel suo essere dolcemente irriverente, fuorilegge e fuori moda come il suo protagonista. Un noir, un thriller, un sogno psichedelico, un labirinto di fatti, luoghi, personaggi che si inseguono. Pynchon non poteva trovare di meglio.

film precedente presente sul sito

 LUX - marzo 2015

film precedente presente sul sito