Waterworld
Kevin Reynolds - USA 1995 - 2h 14'

  

     Forse è un argomento per addetti ai lavori, ma fino a quanto Waterwold è un flop commerciale? O non è invece il grande trionfatore della stagione, il kolossal hollywoodiano della miglior tradizione con l'avventura "impressionante" (ma adatta anche ai più giovani), il fascino misterioso del (non)eroe-divo (Kevin Costner, anche "folle" producer), i clamorosi travagli produttivi che hanno reclamizzato (e in parte affossato) il cammino realizzativo del film? L'aura "mitica" di Waterwold parte da qui: le riprese effettuate in situazioni d'emergenza sul gigantesco set galleggiante in balia dei fortunali delle Hawaii, la sovrabbondanza di effetti speciali, tra modellini in miniatura e schermi blu sottomarini (la lunga sequenza in immersione), maxi-riproduzioni ed elaborazioni al computer (l'enorme ponte della petroliera e l'oceano fittizio che la circonda), il budget da record ripetutamente "sforato" (fino a superare i 175 milioni di dollari), la fuga indispettita del regista Kevin Reynolds che ha abbandonato alla fine il set, lasciando la conclusione dei lavori (montaggio compreso) nella mani dell'amico-nemico Costner.
Ma, al di là delle voci sulla pre-confezione (e alcune malignamente "pre-confezionate": sembra che il grande Kevin non sia molto amato dai media americani), la scia emozionale che accompagna Waterworld nasce tutta dalla tensione futuribile del racconto che descrive con indiscussa suggestione un mondo post-apocalittico completamente ricoperto d'acqua, dove gli esseri umani sono abbrutiti naufraghi della civiltà, rifugiati su isole artificiali di metallo e detriti, dove la minaccia incombente è costituita dalle bande degli Smokers guidati a feroci scorribande dal sanguinario Diacono (Dennis Hopper) e dove l'unica speranza per un domani migliore si chiama Dryland, la "terra secca" dell'utopia, estremo atollo naturale non ancora sprofondato nel mare senza fine. E Kevin? Lui è il Mariner solitario, l'uomo-simbolo del medioevo acquatico prossimo venturo, che solca l'oceano sul suo super-trimarano (dati tecnici? 18 metri di stazza con vela da 26 metri e velocità di oltre 30 nodi!), affidandosi alla propria intraprendenza, a strani marchingegni ecologico-riciclanti ed alla mutazione naturale che, rendendolo "diverso" tra i suoi simili, gli ha fornito branchie e piedi palmati adatti all'ambiente. Scettico e burbero, coraggioso e leale, Kevin-Mariner cede infine alla socializzazione con i buoni di turno (lei, la Jeanne Tripplehorn di
Basic Istinct , è un po' opaca; più significativa, anche per il tatuaggio-mappa che ha sulla schiena, la piccola Tina Majorino nel ruolo della petulante Enola) e accetta il ruolo di messia della "terra promessa", accompagnando il pubblico in un'avventura dal ritmo vertiginoso, coreografata da scenari spettacolari (con esplosioni e iperviolenza da fumetto), avara di "magia" epica ma prodiga di scontri avvincenti, di invenzioni narrative divertenti e divertite.
Waterworld insomma, senza arrivare al capolavoro, è sicuramente un'entusiasmante macchina da cinema: per essere perfetto avrebbe avuto bisogno probabilmente della regia ispirata e "selvaggia" di un autore australiano (il modello, in fondo, è sempre
Interceptor-Mad Max), ma in quel caso, forse, il mutante-Mariner sarebbe stato ironicamente destinato ad un acquario. E super-Kevin non poteva finire così.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  24 settembre 1995