World Trade Center
Oliver Stone
- USA 2006 - 2h 09'


Venezia 63° - Fuori concorso

   Ci si aspettava un film spettacolare e retorico, e così è stato. World Trade Center gioca in apertura la carta della spettacolarità come solo il cinema americano sa fare: sono le 3:23 dell’11 settembre quando John McLoughlin (Nicolas Cage), sergente del Dipartimento di Polizia Portuale di New York, inizia la sua giornata di lavoro. Sarà una giornata che lui, gli americani, il mondo intero non dimenticheranno. Il sergente e la sua pattuglia vengono subito inviati alle Torri dopo il primo fatidico impatto. film precedente in archivio Stone film successivo in archivio usa le immagini di repertorio solo sugli schermi televisivi, immortala l’arrivo dell’aereo come un’ombra che si staglia sui palazzi adiacenti, fa vivere l’evento ai suoi personaggi ed al pubblico come una deflagrazione schermica fatta di rimbombi, crolli e urla, polvere e lamenti. Al cedere della prima torre i poliziotti si rifugiano nella tromba dell’ascensore, quella che, per i più, ne diventerà la tomba. Tra un boato e l’altro le macerie si accumulano su di loro, li dilaniano, li soffocano. Alla fine sopravvivono solo McLoughlin e l’agente Will Jimeno (Michael Peña) ed è sui loro volti, sporchi e sofferenti, che la macchina da presa si ancora con solidale empatia. La salvezza dei due dipenderà non solo dalla rapidità dei soccorsi, ma anche dalla loro forza d’animo, dal sostenersi a vicenda, dal loro aggrapparsi ai ricordi, a visioni mistiche (ironia e kitsch in un Gesù sfolgorante con in mano una bottiglia d’acqua!), ai volti delle persone care. E su questo rimando al privato si poggia anche il meccanismo narrativo del film che esce dalla claustrofobia della situazione (inquadrature buie tra acciaio e cemento, polverosi primi piani sui volti di John e Will) per fotografare l’atmosfera delle loro famiglie che non possono che vivere un’angosciosa attesa: Donna McLoughlin e Allison Jimeno nelle loro case, tra figli e parenti, esorcizzano anch’esse l’ansia e la paura ripensando ai momenti felici del passato, cercano invano notizie presso i colleghi al Dipartimento di Polizia, passano di continuo dalla speranza allo sconforto. La regia di Stone dopo l’esplosiva emozione dell’inizio riesce a consolidare un ritmo ed una partecipazione apprezzabili (pur con qualche parentesi ripetitiva e un pericolo di noia incombente), trova nelle pieghe della Storia di quell’11 settembre un altro protagonista (Dave Kernes, un ex-marine che si precipitò alle Torri spinto da un’intima missione di aiuto) e affida alle sue ostinate ricerche (come nella realtà) il ritrovamento, dopo 12 ore, dei due sopravvissuti. Le concitate fasi del salvataggio occupano, catartiche, l’ultima mezz’ora del film e danno modo all’autore di Platoon di scrivere un’altra pagina, stavolta in positivo, sullo spirito americano, sul senso di patriottismo, sull’importanza della famiglia, degli affetti, della solidarietà nazionale.
Al pathos delle intense riprese che documentano il momento del salvataggio e che, tra applausi e strette di mano, danno già esplicita concretezza al messaggio umanitario di
World Trade Center, Stone vuole aggiungere un’ulteriore accorata sequenza. Dopo due anni John e Will tornano a Ground Zero, per una celebrazione: sono salvi, segnati nel corpo e nello spirito dal trauma, ma fiduciosi nel valore di una fratellanza riscoperta, di un patriottismo fatto di sofferenza comune ed eroismi quotidiani. Dalla spettacolarità all’intimismo, dall’intimismo alla retorica…

ezio leoni - Il Mattino di Padova  2 settembre 2006