appunti sul NOIR

Ami il cinema? In Di genere sì (corso di aggiornamento) febbraio-marzo 1999

Genere o stile?

Nel 1946 il critico francese Nino Frank usò per la prima volta il termine noir per indicare alcuni film americani importati in Francia (noir era la copertina dei "gialli" francesi).
Quando si cerca un esempio di "genere cinematografico" forte si ricorre al noir: in effetti è l'unico genere classico sopravvissuto indenne fino ai giorni nostri e nel quale si sono misurati quasi tutti i grandi autori (da Lang a Welles, da Truffaut a Scorsese, dai Coen a J.Woo ecc.) e i grandi attori, tecnici ecc.; è anche un genere di cui si possono in apparenza definire facilmente i topoi e gli archetipi a livello di intreccio, di narrazione, filmici e tematici.
In realtà "ad ogni tentativo di classificazione spuntano varie eccezioni alla regola soprattutto quando si parla di scelte tematiche, per cui forse è giusto dire che il noir è soprattutto un dato cromatico. Il dato sembra banale, ma in realtà implica una triplice scelta: di tecnica (luci artificiali), di intreccio (predominanza di scene notturne) e pragmatica (gli spettatori reagiscono in modo diverso di fronte ad una scena girata in esterni illuminati o in interni ed esterni bui)". (
Sorlin)
Molti altri critici e studiosi concordano con questa posizione:
Schrader: "Il noir non è un genere: la sua definizione non si basa su convenzioni che riguardano l'ambientazione e il conflitto (western - gangster movie), ma piuttosto su caratteristiche più sottili: il tono e l'umore."
Bignardi: "Sono l'inquietudine, l'insicurezza, l'angoscia, la scheggia impazzita e deviante della realtà le qualità speciali e diversificanti del nero... all'incrocio tra il mistery, la detective story... rappresenta l'impossibilità di mettere le cose in ordine, di recuperare l'ordine, perché non c'è."
Ottoson: "Quasi ogni critico ha la sua definizione del film noir e una lista personale di titoli."

L'ambiguità, cioè l'adozione di forme dotate di una pluralità i significati, presiede quindi alla costruzione degli universi narrativi del noir e ne caratterizza la modernità. Ambiguità dei personaggi: impotenti, distaccati; ambiguità figurativa data dall'accentuazione violenta ed eccessiva dei contrasti di luce e ambiguità nel rapporto che si stabilisce tra la soluzione dell'enigma instaurato dal racconto e una verità più ampia e profonda che il clima figurativo del film ha contribuito a rievocare e rispetto alla quale il detective non ha strumenti di sorta.
Nel noir gli elementi visivi sono dunque più importanti dei fattori sociali, il noir è più interessato allo stile che alle tematiche, il fatto di essere stato considerato a lungo un B-movie ha favorito una maggiore libertà di sperimentazione a livello stilistico.
Il noir cercò di far accettare all'America una visione morale della vita basata sullo stile, dando vita ad un nuovo universo artistico, che era qualcosa di più di un semplice riflesso della società: era un mondo da incubo.

Ecco perché a livello didattico i film che appartengono a questo filone si prestano molto bene ad un analisi volta ad individuare in un testo filmico un significato che può essere diverso da quello "letterale" dell'enunciato narrativo, un significato in più, che ci viene fornito non dalla "storia" ma dal "discorso", cioè da quell'insieme di scelte stilistiche, attraverso le quali un autore manipola le apparenze e trasgredisce l'ordine apparente della visione ordinaria, per comunicarci la sua visione del mondo.

La storia

Secondo l'opinione della maggior parte degli studiosi l'età d'oro del film noir inizia con Il mistero del falco (The Maltese Falcon) di John Huston del 1941 e comprende la maggior parte dei film hollywoodiani realizzati negli anni Quaranta e nella prima metà degli anni Cinquanta.
I precedenti si possono individuare :

    nei film di gangster della Warner degli anni Trenta
    (
    Nemico pubblico di Wellman, Scarface di Hawks, Piccolo Cesare di Le Roy);
    nel realismo poetico francese di Carnè e Duvivier;
    nei melodrammi di Sternberg;
    nell'espressionismo tedesco (F. Lang, Mabuse);
    nella letteratura: pulp magazines.

Rapporti con la letteratura Con i Pulp magazines nasce un genere narrativo che trasporta in ambiente urbano e metropolitano l'eroe di frontiera del western. Nel 1920 esce una rivista storica: Black Mask, a cui collabora Dashiell Hammett (ex detective alla Pinkerton). Il suo linguaggio crudo, distaccato, essenziale dà origine al ciclo hard-boiled e definisce le coordinate del genere a livello di intreccio, di dialoghi, di tematiche e di personaggi. Successivamente collaboreranno alla rivista altri autori importanti come Chandler e Cain. L'attenzione al linguaggio, all'azione, al personaggio, alla corruzione sociale, all'atmosfera soppianta il predominio del puro intreccio ad enigma di autori come A. Christie, Van Dine, Gardner, Stout (romanzi che partono da un evento traumatico, che alla fine della storia trova una risoluzione). Negli anni Quaranta questo tipo di romanzo acquisterà toni più interiori con autori come Chandler , Woolrich e Goodis. Visto l'enorme successo di pubblico di questi romanzi la Warner decide di riprenderne i temi e adattarli per lo schermo.

Vari fattori storico-politici contribuirono all'affermazione del genere:

    trattandosi del periodo bellico e post-bellico, Hollywood attraversava un periodo di crisi, da cui la necessità di ridurre i bilanci e produrre film a basso costo;
    il pubblico manifestava una certa stanchezza rispetto a film consolatori e commedie;
    emergeva l'esigenza di un ritorno al realismo;
    molti registi e tecnici tedeschi erano emigrati in America (Lang, Siodmak, Wilder, Preminger, Sirk, Ulmer).

Gli sviluppi del genere

Possiamo fare una distinzione tra il periodo classico (1941-55), in cui il genere si afferma e sviluppa tutte le sue potenzialità espressive e la sua rivisitazione in chiave moderna e post-moderna dagli anni Sessanta in poi, seguita ad un periodo di quasi totale assenza. Seguendo la periodizzazione elaborata da Schrader è possibile suddividere il periodo classico del noir in tre ampie fasi:

    La prima fase (1941-46) coincide con il periodo bellico: è la fase dell'investigatore privato, del lupo solitario di Chandler, Hammett, di Bogart e Bacall, di A. Ladd e V. Lake, caratterizzata da ambientazioni fatte in studio e dal predominio della parola sull'azione.

    Film: Il mistero del falco, Gaslight (Angoscia), La donna del ritratto, Laura, Il grande sonno, Il postino suona sempre due volte.

    La fiamma del peccato
    segna il passaggio tra la prima e la seconda fase con la sua visione rigorosamente noir.

    La seconda fase (1945-49) coincide con il periodo del dopoguerra. E' caratterizzata da un maggiore realismo, vengono rappresentate la delinquenza nelle strade, la corruzione politica e della polizia.

    Film: The killers (I gangsters), A sangue freddo, Forza bruta, La città nuda.

    La terza fase (1949-55): è un periodo caratterizzato dalla rappresentazione della psicosi, degli istinti omicidi, l'eroe è arrivato al capolinea.

    Film: Lo specchio scuro, La sanguinaria (Gun Crazy), Viale del tramonto (Sunset Boulevard), Un bacio e una pistola (Kiss Me Deadly).

L'enorme produzione di film appartenenti a questo genere prodotti nel periodo, cosiddetto classico del cinema americano, contribuisce a definire, pur se all'interno di una grande varietà di forme, gli elementi caratterizzanti del genere:

  • l'uso di una illuminazione fortemente contrastata di derivazione espressionista
    un particolare
    rapporto tra lo spazio e i personaggi
    l'
    ambiguità delle situazioni e dei caratteri
    la
    sensazione di disorientamento trasmessa dalla narrazione
    la presenza di
    protagonisti vulnerabili, incapaci di controllare gli eventi

  • Anni '50: Nel periodo del McCarthysmo emerge l'esigenza di dare attraverso il cinema un'immagine più rassicurante della società americana. E' inoltre il periodo dell'avvento del colore e del Cinemascope. Nella seconda metà del decennio si assiste pertanto ad un'eclisse del genere che sta attraversando un momento di transizione, con qualche eccezione come quella costituita da Mano pericolosa di Fuller.

    Anni '60: I critici americani riscoprono la letteratura hard-boiled, pubblicando vari saggi su Chandler. Riappaiono film incentrati sulla figura del detective: interprete privilegiato della società contemporanea (pre-sessantotto) da un lato, dall'altro figura che rimanda alla Hollywood classica e la confronta con un cinema in via di trasformazione.
    Film:
    Detective story

    Anni '70: all'inizio del decennio (1971) escono due film: Dirty Harry (Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo) di Siegel e Il braccio violento della legge di Friedkin.

    Uno rilancia la mitologia del giustiziere che porta nella metropoli il western, esalta l'eroe individualista che vive in maniera conflittuale il rapporto con la comunità; l'altro ridefinisce l'immaginario urbano rifacendosi a film come La città nuda e catalogando i cliché di un nuovo realismo. Altri film del decennio rappresentano il detective come modello mitico di comportamento, che si muove dentro un mondo di cui non accetta le regole, l'idealista che si corazza di cinismo, assorbendo nel proprio corpo segnato il distacco morale nei confronti di una società che non sente sua.

    Film: Il lungo addio, Chinatown, L'occhio privato, Marlowe il poliziotto privato.

    Anni '80-'90: segnano un grande revival del genere. Il poliziesco si diffonde come struttura narrativa passpartout, in grado di fornire un racconto forte e popolare. Diventa il genere più pervasivo del periodo, assieme alla commedia e all'horror. In letteratura vengono stampati i romanzi di J. Ellroy e T. Harris e ristampati quelli di J. Thompson.

    Film: 48 ore, Arma letale, Hardcore, Distretto 13: le brigate della morte, Brivido caldo, Corda tesa, Blood simple, Black rain, Blue steel, Affari sporchi, I soliti sospetti, Fargo, The Killer, Pulp fiction.

Nella rivisitazione del noir in chiave postmoderna, che caratterizza tutta la produzione dagli anni '70 in poi, emergono varie tendenze:

navigare nel genere per risalire al piacere del cinema e ricostruirlo nella genealogia della sua formazione (Godard, Scorsese, Cassavetes, Polansky, Truffaut, Fassbinder, De Palma)
usare le superfici e gli ingranaggi come una tastiera, una tavolozza (Almodovar, Leconte, Von Trier), per performance stilistiche vistose (J. Woo), o per interpretarlo al femminile (Bigelow, Locke) o per rivoltarlo tutto (Kubrick, Lynch) o per ritagliarselo addosso (Eastwood)
prendere le distanze dal citazionismo postmoderno per lavorare sugli schemi, producendo sintesi davvero inedite (Coen, Kasdan, W. Hill).

Bibliografia

A.Costa Saper vedere il cinema, 1985 Bompiani
AA.VV.
I colori del nero, 1989 Ubulibri
               I.Bignardi
Il nero è per sempre in I colori del nero cit.
               P.Schrader
Note sul film noir in I colori del nero cit.
               P.Sorlin
The dark mirror in I colori del nero cit.
               L.Gandini
Il rovescio della medaglia: strategie espressive del noir contemporaneo in I colori del nero cit. R.Venturelli Storia del cinema poliziesco americano, 1995 Le Mani
M.Sebastiani M.Sesti
Delitto per delitto, 1998 Lindau

Il narratore - Il tempo - La focalizzazione

Nei film noir troviamo un uso frequente del flash-back e della narrazione in prima persona. Si tratta di un meccanismo narrativo che ha una grande diffusione nel cinema degli anni '40-50 e con il quale il cinema sembra voler rivendicare la capacità di raccontare come la letteratura: la voce non serve più soltanto per mettere in scena dei dialoghi (egli dice), ma arriva a dire "io" (superamento dell'idea che al cinema spetterebbe solo l'oggettualità dei fatti).
L'introduzione della figura del narratore e di un eventuale narratario costituisce una di quelle che
Genette definisce tracce di enunciazione: segnali cioè che rimandano da una parte alla logica che governa il film, dall'altra alle condizioni di lettura che il film detta (autore e spettatore impliciti). Permette inoltre di frammentare il racconto, di sorvolare sugli episodi di raccordo e di accentuare la soggettività della narrazione "vissuta".
Il noir non sopporta il tempo lineare. Quel misto di ansia, nevrosi aberrazione percettiva che caratterizza la sua visione del mondo si insedia a partire da una distruzione sistematica della percezione oggettiva del tempo fisico.
Flash-back, dissolvenze, ricorrenze circolari sono gli strumenti della sua aggressione psicologica e testimoniano la sua tendenza a privilegiare l'azione rispetto alla successione razionale degli eventi.
La narrazione in flash-back induce inoltre ad una restrizione della focalizzazione sul sapere del personaggio principale (che non significa ocularizzazione cioè adozione del p.d.v. fisico del personaggio come ne
Una donna nel lago).
D'altra parte questa tecnica narrativa si sposa felicemente con la tipologia del personaggio principale del noir: un eroe che vive sempre di fronte alla minaccia della morte, evento ineluttabile. Questa situazione lo spinge a riesaminare la propria vita. Il protagonista la racconta mentre il senso di ineluttabilità del destino si impone. Sembra quasi che il narratore tragga un piacere perverso dall'esposizione dei fatti che lo hanno messo in una situazione critica. Il tono romantico è sottolineato dall'originalità delle ambientazioni.


Il mistero del falco (The Maltese Falcon)
John Huston - USA 1941 - 1h 40'
[opera prima]

Il film viene considerato dai critici, Sadoul in testa, il capostipite del genere noir.
La Warner, visto il successo di pubblico dei romanzi di Hammett, aveva deciso di riprenderne i temi e di adattarli per lo schermo, poiché dal punto di vista commerciale l'operazione era estremamente rischiosa, preferirono agire con prudenza limitando al massimo gli investimenti.
Venne affidata la sceneggiatura, già portata due volte sullo schermo senza successo, ad un regista esordiente,
J.Huston, che aveva lavorato come sceneggiatore per la Warner e venne affidata la parte del protagonista, dopo il rifiuto di George Raft, a Bogart, considerato all'epoca sul viale del tramonto e che inizierà una nuova carriera con questo genere di film.
In termini produttivi il film era quindi di seconda serie: 300 mila dollari di budget e otto settimane di lavorazione, tutte in interni. Huston costruì una sceneggiatura fedele al romanzo, ma soprattutto allo spirito di Hammett (dichiarò di avere disegnato personalmente ogni scena del film).
In questo che è il suo primo film Huston definì topoi e archetipi del genere su diversi livelli: d'intreccio (indagine - scoperta del colpevole), di narrazione (suspence, restringimento del punto di vista narrativo sull'azione del protagonista), filmici (illuminazione a forti contrasti cromatici, montaggio serrato delle scene d'azione) e tematici (ambiguità dei personaggi e della situazione). Sicuramente gli ultimi due livelli in questo film risultano i più interessanti da analizzare, in quanto la caratterizzazione dei personaggi diventa più importante della coerenza del plot e la capacità di sostenere ininterrottamente un'atmosfera è più decisiva dell'attenzione all'evoluzione dell'indagine.
Tra i personaggi spicca lo Spade di
Bogart, la cui interpretazione si proietta subito nel mito: impermeabile e sigaretta, la gestualità, la smorfia amara del volto, il suo malinconico distacco dalle vicende in cui viene implicati, l'ambiguità dei rapporti con gli altri personaggi (è guardato con sospetto dalla polizia che lo considera una sorta di gangster camuffato e dalla malavita che lo considera dalla parte della polizia: icona del bad-good boy). Ripeterà questo clichè interpretando il Marlowe di Chandler ne Il grande sonno di Hawks. Mary Astor diventerà il modello di molte dark-ladies che popoleranno il noir americano: pericolosa, ambigua e patetica.
Omosessualità latente nel malefico terzetto di
Greenstreet, Lorre (che aveva interpretato M, il mostro di Dusseldorf) e Elisha Cook.
E' un film molto dialogato, con una prosa asciutta e fluida alla Hammett, ma è difficile rendersene conto, tanto il suo ritmo è stringato e calzante. I dialoghi costituiscono in realtà un aspetto essenziale del film: abbondanti e fedeli al romanzo, esaltati dal montaggio incisivo, finiscono per dare talvolta la sensazione che al centro dell'intrigo stia la dimensione verbale in sé e che il processo menzogna/verità ruoti innanzitutto attorno alla parola e al discorso (due volte Greenstreet parla del parlare).
La battuta finale shakespeariana: di che materia è fatto il falcone? "della materia di cui sono fatti i sogni" rimanda a dei personaggi assurdi che inseguono assurdamente un oggetto assurdo.
Dal punto di vista filmico il film è tutto girato in interni, fotografato da
Arthur Edeson con gusto espressionista, mette a punto una dimensione inconfondibile: angolazioni dal basso (soprattutto su Greenstreet) profondità di campo, uso aggressivo del grandangolo, ombre e veneziane nell'ufficio di Spade.
Il montaggio costruito secondo le regole del decoupage classico (campo contro campo - raccordi di sguardo e di movimento - alternanza di piani d'insieme e piani ravvicinati) agisce come meccanismo di controllo, sulla base delle esigenze del racconto, della visione dello spettatore.
Memorabile la scena finale: Mary Astor consegnata alla polizia e il suo volto dietro le sbarre dell'ascensore che comincia a scendere. Nella conclusione della vicenda Gutman e Cairo escono di scena liberi, per continuare la caccia al falcone: finale hustoniano (nel romanzo venivano uccisi da Wilmer da loro tradito). Ambiguità nel rapporto che si stabilisce tra la soluzione dell'enigma instaurato dal racconto e una verità più ampia e profonda che il clima figurativo del film ha contribuito ad evocare e rispetto alla quale il detective non ha strumenti di sorta.
Curiosità: la statuetta del falco in bronzo e piombo fu venduta da Christie's nel 1994 per 398.000 dollari.

Cristina Menegolli

il noir