VENEZIA '97
Dimenticate Napoli, diffidate di Livorno, godetevi Palermo, date fiducia a Venezia

Festival d'oriente o festival della marchetta? La voce che circolava al Palalido, mentre Jane Campion annunciava il Gran Premio Speciale della Giuria a Ovosodo di PaoloVirzì, era quella di un voto pilotato da Felice Laudadio, a suo volte in patteggiamento col PDS in cambio di garanzie per il prossimo mandato di direttore della Mostra. Fantapolitica? Nel pomeriggio altre voci, più addentro al palazzo (del cinema ovviamente) riferivano di un verdetto per la pellicola italiana incerto fino all'ultimo, con un risultato finale di cinque voti a favore e quattro contrari con tanto di precisazione dei nomi schierati per il no (tra cui un agguerrito Francesco Rosi). Di lì a poco però Laudadio dichiarava senza esitazioni che la vittoria di Virzì era stata votata praticamente all'unanimità (sette a due)...
Illazioni che non hanno la forza di entrare in cronaca, ma che, ancorate a brandelli di taciute verità o di invidiose cattiverie, guarda caso fanno riferimento al "caso Virzì". Il tutto parte dalla nutrita partecipazione italiana a questa 54a rassegna veneziana. Più di una dozzina di lungometraggi, di cui ben tre in concorso: I vesuviani, Giro di lune tra terra e mare e, appunto, Ovosodo.
L'attenzione era tutta rivolta alla "scuola napoletana". Da una parte Corsicato, De Lillo, Capuano, Incerti e Martone riuniti per un film ad episodi fortemente "etnico", dall'altra Giuseppe Gaudino (all'esordio dopo un'apprezzata carriera di scenografo e documentarista) visceralmente partecipe alla dignità vitale della sua Pozzuoli, teso a narrarne il disfacimento di terra (il bradisismo) e mare (l'inquinamento) amalgamando le peripezie e di una famiglia di pescatori con inserti di "cinema storico" in cui rivivono fantasmagorie mitiche, da Agrippina a Nerone, dalla Sibilla a Pergolesi... In entrambi i casi buone le premesse, deludente il risultato: disomogeneo e tedioso Gaudino, solo un divertissement il lavoro collettivo dei "vesuviani", ma in ogni caso sbiadito, incongruo nel puzzle tra farsa e metafora, talvolta addirittura fastidioso.
A fronte di ciò, e di tanta rispettabile mediocrità esibita dalla selezione del concorso, l'arrivo di Ovosodo ha indubbiamente divertito la platea, conquistato una grossa frangia della critica, ma non sono stati pochi, a fine proiezione, ad esibire il proprio disappunto per un film che finisce per indisporre nel suo petulante cabarettismo, nello scanzonato deja-vu attraverso una Livorno-story primi anni '90 dove la mestizia degli steccati sociali (il protagonista di umile estrazione, ma di vivace verve letteraria è destinato ad un improbabile disastro scolastico ed al fatidico posto in fabbrica) si stempera in esilaranti esperienze giovanili. Virzì sembra dimenticare il racconto sincero e compassato di La bella vita per una commediola che sa tanto di "marchetta" commerciale. Una "pieraccionata" dal tono più sagace, ma in fondo solo più gaglioffo. Il blaterare dell'io-narrante (ormai la via più facile per risolvere una qualsiasi struttura narrativa), dialoghi-battute a raffica (c'è n'è perfino una, involontariamente pesante, che accomuna extracomunitari e handicappati) e recitazione spontaneistica. La miscela spesso funziona, si ride molto, ma il tutto sa di scontato e furbo, e, soprattutto, il "cinema" dov'è?
Forse se lo è chiesto anche Zhang Yimou che ha visto la frenesia figurativa del suo Keep Cool derubata di un Gran Premio che il pronostico ormai le assegnava, ma la verve autoriale del "cinema d'oriente" ha avuto il suo meritato riconoscimento con il Leone d'oro a Takeshi Kitano e al suo Hana-bi. Una miscela giapponese di Sirk e Tarantino, un'anima bressoniana traslata nella possente fisicità di Imamura. Bisogna andare a caccia di paragoni paradossali per dare un'idea efficace della singolare personalità cinematografica di Kitano. Già segnalatosi a Cannes con Sonatine (1993), sbanca stavolta il lido con un estraniante noir iper-melodrammatico di sanguigna, stilizzata violenza. Del suo film è anche interprete, prestando monolitica presenza scenica all'investigatore Nishi, stimato e cinico poliziotto che trascura carriera e legalità per restare al fianco della moglie Miyuki, irrimediabilmente malata. A latere si agitano le incombenze del vivere: pedinamenti e scontri fuoco, una banca da rapinare per provvedere ad un amico finito in sedia rotelle ed alla vedova di un altro collega, la resa dei conti con gli jakuza a cui deve del denaro, l'ultima romantica passeggiata sulla spiaggia con Miyuki, prima che gli ex-colleghi vengano ad arrestarlo.
Tra enfatica musicalità e silenzi carichi di tensione, tra rallenti e sussulti d'azione Hana-bi ha messo d'accordo pubblico, critica e giuria e tale unanime convergenza ha certamente aiutato la gestione Laudadio a superare lo scoglio di questa prima tappa veneziana, ancora disseminata di banali disfunzioni (il direttore in persona si è presentato in sala per porgere pubbliche scuse) ed incongrue progettualità (alla conquista di una sala in più, il Palalido, ha corrisposto l'ulteriore intensificarsi delle rassegne collaterali), ma tonificata dalla buona qualità media proprio dei prodotti di contorno. Dalla compatta intensità stilistica della British Renaissance alle scoperte di Mezzogiorno (Bent Familia e The Second Civil War) e Mezzanotte (Liar), dalla vivacità (non solo sonora) dei titoli di Immagini e Musica al ridondante impatto visionario di Riget II (il nuovo maxiepisodio di The Kingdom di Lars Von Trier). E, a bilanciare l'incerta esibizione italiana in concorso, il musical-kitsch Tano da morire, che tra fumetto e pop art, tra suoni e colori sgargianti sbeffeggia, con folgorante ironia, fatti di sangue e superstizione di Cosa Nostra.
Un esordio applauditissimo, ma qualcuno bisbigliava che la regista, Roberta Torre, era in giuria ad un festival spagnolo dove la sorpresa era stato proprio un innovativo farsesco trash-musical... L'apprezzamento del nuovo cinema italiano sembra davvero destinato a vivere un interminabile tormentone esistenziale.

e.l. rivista ASTRA ottobre/dicembre 97


Hana-bi
di Takeshi Kitano - Giappone 1997 - 1h 43'


VENEZIA 1997: Leone d'oro