I Am Not Your Negro

Raoul Peck

Nel 1979, James Baldwin scrive una lettera al suo agente in cui descrive il progetto letterario “Remember This House”, un libro rivoluzionario, un racconto personale della vita e degli omicidi di tre dei suoi amici più stretti: Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King, Jr. Tuttavia, al momento della morte di Baldwin, avvenuta nel 1987, lo scrittore lascia solo trenta pagine complete del suo manoscritto. Con questo documentario, il maestro del cinema Raoul Peck mette in scena il libro che James Baldwin non ha mai terminato: nulla meglio del cinema può raccontare l’immaginario americano, il profondo sentire di una nazione, e allora ecco che, alle tesi di Baldwin, fanno da puntuale riscontro spezzoni di film, spesso famosissimi, che esplicitano la natura del complesso rapporto tra bianchi e neri in Usa e che compongono il tessuto di un documentario potente e definitivo.

USA/Francia 2016 – 1h 35’

In una Berlinale mai così avara di film americani, il contributo a stelle e strisce più importante bisognava andarselo a cercare nella sezione Panorama Dokumente. E basta citare il titolo per capire perché: I Am Not Your Negro dell’haitiano Raoul Peck, peraltro coprodotto da Francia, Usa, Belgio e Svizzera, è infatti un’appassionante controstoria degli Stati Uniti raccontata dal punto di vista degli afroamericani (…). Con un narratore d’eccezione come James Baldwin, grande scrittore, attivista e polemista (una specie di Pasolini afroamericano, passateci il paragone rozzo e strumentale) oggi poco ricordato in Italia, che oltre ad aver ispirato il film con un libro appena abbozzato, Remember This House, ne è il filo conduttore. Un po’ perché I Am Not Your Negro incorpora quasi integralmente quel libro incompiuto (voce narrante di Samuel L. Jackson, e chi se non lui). Un po’ perché grazie al gran numero di apparizioni pubbliche o televisive disseminate nella sua vita (1924-1987), Baldwin è in sostanza il protagonista di questo film che rielabora materiali d’archivio di ogni sorta. (…) Non solo scene d’attualità, dunque, sempre memorabili (chi ci ridarà mai la grana e la forza di quel bianco e nero…) e spesso agghiaccianti (la brutalità poliziesca che emerge in scatti e filmati di ogni epoca è davvero impressionante). Ma immagini pubblicitarie, illustrazioni popolari, vecchi film osservati in una luce diversa (…). Per smascherare deformazioni e menzogne non solo sul piano fattuale ma su quello non meno importante dell’immaginario (…).

 

E poi cento altri episodi e personaggi oggi meno noti, soprattutto da questo lato dell’Oceano, su cui alla fine si staglia per autorevolezza e singolarità proprio la figura di Baldwin, così diverso dalle aggressive icone ‘black’ della nostra epoca. Un intellettuale in giacca e cravatta, con l’irruenza di un oratore (…), la velocità di chi ha imparato presto a cavarsela da sé. E la dolcezza di un uomo che nel corso di una vita errabonda, come quella del regista Raoul Peck, non a caso, non ha mai smesso di cercare un modo per conciliare la lucidità e la disperazione dell’intellettuale con il sogno ostinato di un mondo diverso. Bellissime in questo senso le pagine in cui dice di non aver mai sentito la mancanza del cibo o dello sport o delle strade d’America, nei lunghi anni trascorsi a Parigi. Ma solo della sua gente, delle loro facce, di quello stile indefinibile, anche nella vita quotidiana. Ed è proprio l’unione tra la dolcezza del tono e lo choc della denuncia a rendere il film di Peck (e Baldwin) così prezioso.

Fabio Ferzetti – Il Messaggero

 

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