Il ragno rosso

Marcin Koszalka


Cracovia, anni Sessanta. Il giovane Karol è un tuffatore esperto e un vanto per la sua famiglia. Una sera, al luna park, scopre casualmente il corpo di un ragazzo vittima del serial killer noto come “il ragno rosso”. Karol nota un individuo misterioso vicino al cadavere ma decide di non comunicarlo alle autorità. Rintraccia l’uomo, un inquietanto quanto apparentemente innocuo veterinario. I due si incontrano, si studiano, la tensione cresce… In uno svolgimento narrativo, sempre coinvolgente Koszalka elabora uno stile di regia personale, sceglie sapientemente cosa mostrare e cosa occultare e si concede anche qualche virtuosismo della macchina da presa.

versione originale sottotitolata

 

 

Czerwony pajak
Polonia/Slovacchia 2015 – 1h 35’

Forse che si uccide serialmente solo nei Paesi anglosassoni? Forse che al cinema gli omicidi seriali debbano parlare solo inglese (americano)? Contro la dittatura del serial killer a denominazione d’origine controllante, ecco un buon thriller polacco, esordio al lungometraggio di finzione del documentarista Marcin Koszalka (…) una trama psicologica ambigua, perfino disturbante, dove la ‘detection’ trova convergenze parallele, il castigo anticipa il delitto, il non detto ottunde le coscienze e confonde la verità. (…) Echi di Robert Siodmak, ricostruzione storica puntuale, fotografia (Koszalka nasce lì) fascinosa e recitazione affilata, un gioiellino (…).

Federico Pontiggia – Il Fatto Quotidiano

 

Sono chiarissimi nel film gli indizi dai riferimenti precisi legati al più grande dei documentaristi, Kieslowski, che già ironizzava sugli aspetti della società di quegli anni (i motori provenienti dall’estero, i complessi rock del realismo socialista) riferimenti che appaiono come flash sul televisore domestico, l’attenzione alle professioni scientifiche, una lettura che emerge dai piccoli oggetti di scena dal valore pregnante (i bicchieri di vodka, il coltello, il martello anche senza la falce) per arrivare alle dissertazioni, ai conflitti morali, fino al «non uccidere». Almeno senza prove certe. (…) Un film che è quasi una profonda seduta analitica in cui lo spettatore polacco si vede come in uno specchio: carnefice e vittima, una società che probabilmente non ha ancora fatto i conti con il suo passato. Karol si tuffa all’inizio del film e inizia un percorso e si riemerge nel ’78, anno in cui Wojtyla arcivescovo di Cracovia venne eletto papa.

Silvana Silvestri – Il Manifesto

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