Paterson

Jim Jarmusch

New Jersey, USA. Paterson lavora come autista di autobus nella città di Paterson, di cui condivide il nome. Ogni giorno, Paterson segue una semplice routine: conduce l’autobus lungo il percorso osservando la città che si riflette nel parabrezza e ascoltando frammenti di conversazione che circolano intorno a lui; scrive poesie nel suo notebook; porta fuori il cane Marvin; si ferma in un bar dove beve sempre la stessa birra; torna a casa da sua moglie, Laura. Il mondo di Laura, invece, è in continua evoluzione, con nuovi stimoli e nuovi sogni ogni giorno. Paterson e sua moglie si amano e si sostengono a vicenda: lui per le ritrovate ambizioni di Laura; lei per il dono per la poesia del marito. E insieme affrontano i trionfi e le sconfitte della loro vita quotidiana.
Non solo un film sulla bellezza delle «cose semplici» e sulla «poesia del quotidiano», ma quasi un sonetto post-stilnovista capace di fotografare l’interiorità , e l’interiorità di un artista.


USA 2016 – 115

 

Paterson è una di quella scommesse che sembrano fare a pugni con la natura del cinema ritmo, movimento, azione, emozioni aggressive. E ne è autore un campione del rinnovamento e della creatività indipendente degli anni Ottanta del cinema americano, a partire da titoli come Stranger Than Paradise e Daunbailò che segnò l’incontro con il genio di Roberto Benigni. Jim Jarmusch. (…) Un universo irreale? Una favola di semplicità non plausibile? Una favola probabilmente sì. Ma densa di vita e di sentimenti forti. Sentimenti di ribellione alla velocità imposta, al conformismo dell’allineamento forzato agli stessi pseudovalori, al consumo senza guardarsi dentro. Per creare questo piccolo mondo di bellezza e di verità il regista si affida a due giovani interpreti di provenienza molto distante l’una dall’altra. Paterson è Adam Driver, inconsueto già solo nell’aspetto. Obiettivamente non bello, alto e dinoccolato e un po’ goffo come possiamo aver immaginato l’Holden Caulfield di Salinger. Driver ha alternato il mainstream della popolare serie televisiva Girls e dell’episodio VII di Star Wars (…) a impegni autoriali di altro profilo come il bellissimo A proposito di Davis dei Coen e l’ottimo quanto inquietante Hungry Hearts del nostro Saverio Costanzo (…). Laura è l’attrice iraniana, peraltro bella come il sole, Golshifteh Farahani (…). Degno finale dolceamaro.

Paolo D’Agostini – La Repubblica

 

Ci sono registi, pochi, che non deludono mai. Fra questi Jim Jarmusch occupa un posto a parte, anche perché da più di trent’anni resta ostinatamente fedele al suo modo di fare cinema indipendente, senza nostalgie ma con rigore, inventiva e curiosità inesauribili. Questo Paterson poi, così distillato e minimale, è quasi una provocazione in cui ogni potenziale conflitto, da film ‘all’americana’, viene puntualmente, beffardamente eluso. Perché la cosa più difficile è proprio cogliere (interrogare) il pacifico mistero della vita di ogni giorno, la sommessa trama di echi, rime, coincidenze che si affaccia nelle circostanze più disparate. (…) Prima di quel bellissimo finale quasi zen con cui si chiude questo film sul fare poesia che schiva tanto il facile ermetismo quanto le trappole pop e spesso insopportabili del ‘poetico’ al cinema. Con una semplicità e insieme una profondità che sono davvero un dono. Oggi più che mai.

Fabio Ferzetti – Il Messaggero

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