L’ordine delle cose

Andrea Segre


Corrado è un alto funzionario del Ministero degli Interni italiano, specializzato in missioni internazionali contro l’immigrazione clandestina. Il Governo lo sceglie per affrontare una delle spine nel fianco delle frontiere europee: i viaggi illegali dalla Libia verso l’Italia. Sarà una delle missioni diplomatiche più difficili della sua carriera. Segre, sempre in linea con il suo cinema civile, prova a costruire, senza alzare i toni, una sorta di thriller impegnato, di strettissima attualità; l’intento è quello di denunciare una situazione insostenibile e porre domande dal forte spessore morale…

 

 

 

Italia/Francia 2017 – 1h 52′

Corrado è un alto funzionario del Ministero degli Interni con una specializzazione in missioni internazionali legate al tema dell’immigrazione irregolare. Viene scelto per un compito non facile: trovare in Libia degli accordi che portino progressivamente a una diminuzione sostanziale degli sbarchi sulle coste italiane. Le trattative non sono facili perché i contrasti all’interno della realtà libica post Gheddafi sono molto forti e le forze in campo avverse con cui trattare molteplici. C’è però una regola precisa da rispettare: mai entrare in contatto diretto con uno dei migranti.
Andrea Segre prosegue il suo viaggio attraverso le condizioni esistenziali di chi migra e di chi si trova a confrontarsi con il fenomeno. Questa volta però sposta in modo considerevole il punto di vista. Non più la comunità lagunare di Io sono Li o quella montana di La prima neve (solo per rimanere ai film di finzione) ma un emissario (ex poliziotto) del Ministero impegnato a trovare una soluzione all’afflusso di migranti dal continente africano.

Giancarlo Zappoli – mymovies.it

Un cinema civile è ancora possibile? Un cinema che sappia raccontare il presente senza stereotipi o mistificazioni. Un cinema che non si limiti a descrivere la situazione attuale, ma proponga una via per il cambiamento. È quello che tenta di fare Andrea Segre con L’ordine delle cose, pellicola che descrive il dramma dei migranti e le speculazioni che stanno dietro ai viaggi della speranza più e meglio del coro di politici, media e autorità. Per raccontare la sua parabola, Segre usa una chiave di volta rappresentata dal personaggio di Paolo Pierobon. Corrado Rinaldi è un funzionario del Ministero degli Interni che si occupa di immigrazione e compie frequenti missioni in Libia per stipulare accordi con il potere tribale e stabilire nuove regole che arginino il flusso dei migranti in Europa. Il problema nasce quando Corrado entra in contatto con Swada, donna somala che tenta di raggiungere il marito in Finlandia, e rimane coinvolto sul piano personale.
Con stile asciutto e rigoroso, Andrea Segre tratteggia un film che ruota attorno a un dilemma morale. Questa “umanizzazione” della problematica favorisce il coinvolgimento in una pellicola che spiega con lucida chiarezza i meccanismi che regolano gli sbarchi irregolari. “Corrado Rinaldi è uno di quelli che gli italiani auspicano facciano bene il proprio lavoro” commenta Segre. Rinaldi ha il potere di favorire la regolarizzazione degli sbarchi trattando con le autorità libiche, è un uomo di legge, abituato a percorrere i corridoi del potere. È un funzionario di estrazione borghese che vive in una villa con una famiglia perfetta, è lontano anni luce da coloro di cui decide la sorte. Gli accordi che stipula passano sopra la testa dei singoli individui, sia degli abitanti dei paesi che accolgono sia dei profughi stessi.
La scelta di aderire al punto di vista di un personaggio come Corrado Rinaldi mostra la volontà di Andrea Segre di spostare la prospettiva per invitare il pubblico a ragionare. Mentre i politici italiani si riempiono la bocca di slogan estremisti (a partire dal gettonatissimo “Aiutiamoli a casa nostra“) che rimbalzano sui quotidiani, in pochi conoscono i veri meccanismi che stanno dietro il fenomeno degli sbarchi illegali. A differenza di tante pellicole sul tema, che raccontano la condizione di migrante invitando il pubblico a una partecipazione commossa, Segre racconta la crisi personale di un uomo di potere che si trova di fronte a un bivio: mettere a repentaglio la propria posizione aiutando una donna a sfuggire ai lager dei campi profughi libici o preservare l’ordine delle cose.
I tic e le compulsioni su cui Paolo Pierobon costruisce il suo personaggio ricordano l’ossessiva ritualità del Titta Di Girolamo de Le conseguenze dell’amore. Il rigore e la compostezza che dominano forniscono la cifra stilistica di un film che esclude volutamente ogni tipo di fanatismo ideologico per concentrarsi su ciò che gli sta a cuore, fornire una spiegazione il più possibile chiara di una macchina burocratica complessa e spietata. A tale scopo il regista ordisce una trama lineare, ma densa di eventi servendosi di interpreti come l’ottimo Giuseppe Battiston, Valentina Carnelutti, Olivier Rabourdin e Fabrizio Ferracane. La prima parte del film contiene una visita ufficiale compiuta da Rinaldi e da altri funzionari italiani in un centro di raccolta libico – in realtà il film è girato tra Sud italia e Tunisia – che somiglia molto a una prigione. Uno dei momenti più intensi e drammatici del film ci permette di dare uno sguardo a un luogo di cui i media parlano in continuazione. Proprio qui avviene l’incontro con Swada, che farà vacillare il sistema di valori del funzionario. La tensione che serpeggia man mano che il personaggio di Pierobon porta avanti la sua missione, mentre nel privato è lacerato da dubbi su come comportarsi con la donna che gli ha chiesto aiuto, conferisce a L’ordine delle cose il sapore del thriller. Un thriller dell’anima, dove oltre al conflitto esteriore sulle condizioni e sul destino dei migranti si combatte un conflitto interiore tra il funzionario e l’uomo. Meglio aiutare un altro essere umano a mutare il proprio destino o seguire le regole? La risposta, al di là del finale proposto, viene demandata al pubblico che però, nel viaggio filmico tratteggiato da Andrea Segre, è invitato a compiere un processo di maturazione mettendo da parte ideologie e fanatismi per lasciare spazio al ragionamento e all’approfondimento.

Valentina D’Amico – movieplayer.it

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