Poesia senza fine

Alejandro Jodorowsky


A 87 anni Alejandro Jodorowsky, scrittore, fumettista e regista di classici come El Topo e La Montagna Sacra, ci regala un film meraviglioso pieno di vita ed emozioni. Poesia senza fine è il secondo capitolo autobiografico dell’artista di origini cilene e comincia proprio dove si interrompe La danza della realtà, cronaca dell’infanzia cilena dell’autore.

 

 

 

 

Poesía sin fin
Cile/Francia 2016 – 2h 8′

Nel fermento della capitale cilena degli anni Quaranta e Cinquanta, Alejandrito Jodorowsky, ventenne, decide di diventare poeta contro la volontà della famiglia. Immerso nel mondo artistico e bohémien dell’epoca, fa la conoscenza di Enrique Lihn, Stella Diaz, Nicanor Parra e molti altri giovani scrittori che diventeranno maestri della letteratura moderna sudamericana. Circondato da quest’universo di intellettuali e sperimentazione poetica, vivrà una vita come pochi hanno osato vivere: sensualmente, autenticamente, liberamente, follemente. Poesia senza fine è un’ode alla vita e all’amore che fa ridere e piangere. Sesso, amore, amicizia, passione, famiglia, religione, morte, tutto quello che fa una vita, si ritrova raccontato da Jodorowsky con quel suo linguaggio surreale e psichedelico che da sempre ci incanta e ipnotizza. Una vena ironica e divertente serpeggia nel film che, sovraccarico di sentimento e lirica, riesce a tenere viva l’attenzione dello spettatore regalando momenti di puro cinema.

Santiago del Cile, al debutto degli anni Cinquanta. Alejandro Jodorowsky ha vent’anni e il desiderio di diventare poeta contro il parere del padre che lo sogna medico, ricco e borghese. Intrappolato nell’ennesima riunione di famiglia, recide (letteralmente) l’albero genealogico e ripara in una comune di artisti avanguardisti per coltivare finalmente il desiderio ardente. Ispirato dai più grandi maestri della moderna letteratura Latino Americana (Enrique Lihn, Stella Díaz, Nicanor Parra) e immerso nella sperimentazione poetica, Alejandro farà la sua rivoluzione culturale.
Con Poesia senza fine, Alejandro Jodorowsky invita lo spettatore al viaggio. Un viaggio introspettivo che pesca ancora una volta nella sua biografia e nel suo universo fantasmatico, dischiudendo la stagione rocambolesca dell’adolescenza e muovendo verso l’età adulta delle prime espressioni artistiche, dei primi turbamenti sentimentali.
Opera immensa, audace e generosa, Poesia senza fine comincia dove si interrompe La danza della realtà, cronaca dell’infanzia cilena dell’autore. Se la madre canta sempre il suo ruolo come in un film di Jacques Demy e il padre, tiranno domestico, vende ancora lingerie umiliando i poveri, a ‘crescere’ è Alejandrito, eroe adolescente, esaltato e scapigliato che chiude coi genitori e abbraccia la carriera di poeta.
Jodorowsky prosegue il racconto giocoso e caricaturale della sua esistenza, inventando e reinventando un altro cinema, personale, libero, senza limiti. Un cinema taumaturgico abitato da creature fantastiche che sembrano fuggite dall’immaginario felliniano. Poeti, clown, nani, ballerine e giocolieri scendono in pista per salvare quello che possono con un atto poetico prodigioso. Su tutti dominano Stella Díaz (Pamela Flores), poetessa dai seni opulenti e i capelli rossi, che inizia Alejandrito al sesso e alla bellezza aggrappata a un’erezione senza fine, Enrique Lihn (Leandro Taub) compagno di notti liriche ed alcoliche che interpreta la poesia in azione e prosegue ‘tutto dritto’ fino al mattino, Pequeñita (Julia Avedano), nana che vuole crescere con l’amore. L’incontro del protagonista con gli amici poeti ridefinisce la sua vita e ridimensiona il terrore e l’orrore del quotidiano. Perché per Jodorowsky l’immaginario è nostro amico e aiuta a riconciliarsi col dolore. Il nostro, il suo. E a questo titolo Brontis e Adan Jodorowsky, figli di Alejandro, impersonano nel film i padri e figli in divenire, l’emanazione simbolica (e incarnata) che contiene la soluzione del trauma.
Vero e proprio atto psicomagico, l’autore stana il conflitto e lo scioglie intervenendo fisicamente nel film, prendendo per mano il tormento dei personaggi e gettando una luce sentimentale sull’ombra tumultuosa della sua creazione. Tra fantasmi e realtà, per Jodorowsky nessuna verità può essere enunciata fuori da questa alleanza, l’autore abbraccia il giovane uomo che fu col padre, convertendo in poesia i gesti di violenza e le parole odiose che segnarono il loro congedo. Perché lo scopo della poesia è fare del mondo un posto migliore, anche molto tempo dopo, anche quando è troppo tardi. La poesia è tutto quello che crea, e per estensione quello che ci crea.

Marzia Gandolfi – mymovies.it

Nato neIl periodo lontano dalla regia cinematografica non ha scalfito il Mito di Jodorowsky, che anzi lo ha ramificato e radicalizzato spargendolo tra mille attività, i fumetti la psicomagia e tutto il resto. Considerare il corpus dell’autore come un movimento unico, per quanto impossibile da definire in maniera univoca, ci sembra la chiave più coerente per affrontare un’opera come Poesia sin fin, esplosa ed eccentrica, legata probabilmente molto più alla galassia espansa Jodorowsky che semplicemente all’aspetto cinematografico (qui mai tirato apertamente in ballo tra le arti predilette dal “poeta Alejandro”, che sperimenta invece le assi del teatro e del circo).
In un’ottica simile, questa biografia per immagini in progress di fatto si pone come atto fondativo definitivo del culto di Jodorowsky, libro ufficiale di una vera e propria religione che sta cosi costituendo il proprio vangelo di aneddoti allegorici, leggende edificanti, dogmi inattaccabili. È un’operazione imponente in cui l’autore sta trasponendo tutti i piani della sua poetica creativa e tutti i mille rivoli del suo eclettismo, difficilmente assimilabile ad una esigenza seriamente narrativa quanto invece ad una chiara tradizione artistica.
Ogni sequenza finisce in questo modo non soltanto raddoppiata, come la frequente presenza in scena dell’Alejandro in carne e ossa al fianco del suo simulacro giovane e fittizio suggerisce apertamente, ma letteralmente moltiplicata per n, affollatissima di figure, movimento e fondali a vista, maschere, cartonati, nani, animali, amori e catastrofi, un procedimento a spirale che finisce per trasformare ogni verso cantato in un verso urlato. Quanto urla infatti questa poesia senza fine, quanto rumore fa la memoria immaginaria di Jodorowsky, e i suoi ricordi ritoccati attraverso lo sguardo sempre vertiginoso di Christopher Doyle! Come nell’arte del racconto orale, ognuna di queste “storielle” potrebbe essere riraccontata, rivisitata all’infinito e risultare ogni volta diversa, arricchita di nuovi particolari e colori, inedita.
Jodorowsky mette in atto dunque una sorta di autoremix, rimasterizzazione di un intero immaginario/repertorio a cura dell’autore stesso, di cui è facile intravedere pericoli, dubbi e punti critici: e però l’afflato testamentario sembra passare anche attraverso una specie di propaganda d’artista proprio per fare i conti con i demoni del proprio passato, parlare con il se stesso da ragazzo e con la sua testa calda, in grado di combinare disastri con la ragazza del migliore amico e collega di versi, e soprattutto pronunciare all’ombra del padre quelle parole di confessione e perdono che Alejandro non e’ mai stato in grado di dirgli dal vivo, avendolo salutato prima di partire per la Francia con l’astio di un conflitto che appariva insanabile. È vero allora, la poesia in prima persona di Jodorowsky è prima di tutto una danza estetica e compiaciuta della propria ostinata unicità, ma al contempo pulsa sottopelle di una sensibilità struggente, di una necessità prepotentemente intima e contagiosa.

Sergio Sozzo – sentieriselvaggi.it

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