Border – Creature di confine

Ali Abbasi

Tina ha un fisico massiccio e un naso eccezionale per fiutare le emozioni degli altri. Impiegata alla dogana è infallibile con sostanze e sentimenti illeciti. Viaggiatore dopo viaggiatore, avverte la loro paura, la vergogna, la colpa. Tina sente tutto e non si sbaglia mai. Almeno fino al giorno in cui Vore non attraversa la frontiera e sposta i confini della sua conoscenza più in là. Vore sfugge al suo fiuto ed esercita su di lei un potere di attrazione che non riesce a comprendere. Teso ad una surreale e grottesca poesia il film di Abbasi conduce su un terreno originale e perturbante: il percorso di Tina eccede il sovrannaturale, facendosi parabola di un’interrogazione intima e sociale più grande.

Gräns
Svezia/Danimarca 2018 – 1h 48′
CANNES: vincitrice della sezione Un Certain Regard

  …Sullo sfondo di un’inchiesta criminale, Tina lascia i freni e si abbandona a una relazione selvaggia che le rivela presto la sua vera natura. Uno choc esistenziale il suo che la costringerà a scegliere tra integrazione o esclusione.
La scoperta di Tina per lo spettatore non è cosa da niente. Difficile parlare di questa eroina singolare e massiva senza rovinare la sorpresa che cova il film e il piacere che procura. Proviamo a girarci intorno. Adattamento del romanzo omonimo di John Ajvide Lindqvist, che aveva già ispirato Lasciami entrare di Tomas Alfredson, dove il vampirismo assumeva forme quotidiane, Border si misura con un’altra creatura leggendaria che popola favole e immaginario della mitologia scandinava. Volto di Neanderthal in un mondo di Sapiens feroci, Tina ha una difformità primitiva che cattura lo sguardo dello spettatore e coglie progressivamente in lei una differenza ontologica. Differenza di cui la protagonista prende a sua volta coscienza nel corso dell’intrigo.
Autore svedese di origine iraniane, Ali Abbasi realizza un film sorprendente e immaginifico che inquieta e insieme meraviglia, incrociando cronaca sociale e atmosfera fantastica. I colpi di scena, tutti di rilievo, non sono mai gratuiti in Border che interroga la nozione di umanità, di animalità e le loro frontiere. Se la natura umana è mostruosa, non ci restano forse che i mostri per farci la lezione proprio come nelle favole gotiche di Guillermo del Toro. Sottile e brutale, il film di Abbasi conduce su un terreno originale e perturbante, quello delle vecchie leggende rivisitate e di un fantastico sociale meravigliosamente ispirato. Al di là dei confini del titolo e del possibile, Border avanza attraverso una serie di rotture drammatiche che mettono in dubbio le apparenze. Quello che ci appare perbene pratica la pedofilia, quello che ci appare un’aberrazione genetica la combatte con un superpotere, un fiuto senza pari per l’abiezione umana. Ma Abbasi va ancora oltre, sollevando con la sua protagonista la questione dell’identità.
Osservando Tina e Vore imparare a conoscersi e a scoprirsi, apprendiamo qualcosa di più sulla loro origine misteriosa. Tina, che ha passato l’intera vita a sublimare le sue pulsioni animali, le assume a poco a poco. Il regista a questo punto dà prova di un’audacia visiva che solo il cinema scandinavo può offrire, soffiando lirismo e romanticismo nelle scene in cui questa coppia ‘ripugnante’ mangia vermi o consuma orgasmi. Nell’atto finale il racconto scarta di nuovo e si concentra sui dubbi morali di Tina. Se da una parte apprende a coltivare, con l’aiuto del suo bestiale amante, l’istinto materno che sorge in lei, dall’altra, la violenza esplicita di Vore, la obbliga a scegliere tra l’accettazione di una vita ai margini o il ritorno a un’esistenza osservante delle regole sociali. Radicalità e integrazione diventano due facce alternative che impongono una scelta, la sua scelta. Il percorso di Tina eccede il sovrannaturale, facendosi parabola di un’interrogazione intima e sociale più grande: l’ossessione identitaria. Una fissazione (quella del “noi chiuso”) che l’autore, cresciuto in Iran e sbarcato vent’anni fa in Danimarca, ha evidentemente conosciuto.
La questione del confine, sollevata fin dal titolo e assunta concretamente con la dogana del porto, si risolve per Tina nel mezzo, nel tentativo di abbattere le barriere, prima di tutto mentali, nei confronti degli altri. Resistente e inatteso come la sua protagonista, una poderosa Eva Melander dissimulata dalla protesi facciale, Border impressiona e destabilizza in permanenza lo spettatore, rinnovando l’appello alla tolleranza. Mentre l’Europa si trincera dietro i suoi confini, il film di Abbasi incoraggia, con un’efficacia delirante, l’apertura di tutte le frontiere.

Marzia Gandolfi – mymovies.it

  Uno degli aspetti più belli di vivere un festival di cinema è di avere spesso l’opportunità di immergersi in un film senza saperne nulla, di restituire al regista quella magia che i tempi moderni ricchi di trailer e anticipazioni gli hanno un po’ sottratto: la possibilità di prenderci per mano e trasportarci nel mondo narrativo del suo film. Se in molti casi si tratta di un viaggio semplice e sicuro, ci sono casi in cui ne veniamo continuamente spiazzati, stupiti o scossi.
Nell’edizione 2018 del festival di Cannes è accaduto almeno una volta, con la coproduzione svedese-danese Border, vincitrice della sezione Un Certain Regard e tratta da un racconto dell’autore di Lasciami entrare, John Ajvide Lindqvist: un film che fa credere di voler raccontare un certo tipo di storia, per poi deviare bruscamente verso i sentieri più sconnessi e scomposti del genere. Un film che non ci sentiamo di considerare perfettamente riuscito, ma che riesce a muoversi agevolmente tra le sue diverse anime.
Punto di partenza del film diretto da Ali Abbasi è Tina, una donna con delle malformazioni che rendono il suo aspetto molto particolare. Non è però l’unica sua peculiarità, perché Tina ha quello che potremmo definire un super-potere: un olfatto sviluppatissimo che le garantisce un assoluto valore nel proprio ambito lavorativo. Da agente della dogana, infatti, riesce a cogliere sul fatto i malintenzionati che attraversano il confine tra Danimarca e Svezia, percependo alcool e droghe, ma anche colpe e reati più particolari e astratti. Un’abilità che la rende unica e preziosa, a dispetto di un’esistenza fatta di mediocrità, che si trascina sterile e monotona. Finché nella sua vita non appare Vore, un individuo che incrocia per caso nel corso delle sue attività di controllo e che la lascia sorpresa: l’uomo ha delle malformazioni non molto diverse dalle sue e simili abilità, ma, a differenza di Tina, non ne soffre al punto da sentirsi un reietto della società. Tra i due si sviluppa un legame, ma se per Tina nasce dalla curiosità per un individuo così simile a lei, Vore sembra avere un’idea molto più chiara del significato di questa somiglianza e di ciò che comporta. E passo dopo passo la guida nella scoperta di una realtà di cui ignorava l’esistenza.
Quello che inizialmente appare un dramma su una persona problematica e isolata, quasi subito sembra voler sfruttare le capacità olfattive della donna per lanciarsi in un thriller incentrato sull’indagine relativa ad un caso di pedofilia. Ma poco per volta Border cambia ancora e si trasforma in una storia di genere con derive fantasy, che affonda le sue radici nel folklore nordico. Il regista si affida al personaggio di Vore, l’interprete finlandese Eero Milonoff, per guidarci in una mitologia complessa e definita in modo dettagliato, sorprendendoci e spizzandoci. Da questo momento noi spettatori siamo in suo potere, pronti ad aspettarci di tutto e vivendo con partecipazione e curiosità ogni snodo della storia che ci viene raccontata.
Quel che viene fuori è un ibrido, un film che si muove tra i generi, li cavalca per poi abbandonarli, concedendosi sprazzi e immagini forti, al limite del disgustoso, altre che ambiscono ad una certa surreale e grottesca poesia. Un ibrido, quello messo in piedi in Border da Abbasi, talmente bizzarro da non poter funzionare in tutto e per tutti: a tratti il regista perde l’equilibrio nel suo cammino tra i generi, a momenti finisce per essere scomposto ed eccessivo, talvolta rischia il ridicolo involontario. Ma l’operazione nel suo complesso è apprezzabile e interessante, coraggiosa o forse semplicemente incosciente. Ed è probabilmente questo aspetto ad aver convinto la giuria di Un Certain Regard guidata da Benicio Del Toro ad assegnargli il premio come miglior film di una sezione prestigiosa, che nel corso degli anni ha visto passare nomi illustri sul proprio schermo.

Antonio Cuomo – movieplayer.it

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