Dio è donna si chiama Petrunya

Teona Strugar Mitevska

In una piccola città in Macedonia, Petrunya, 32 anni disoccupata, vive ancora con i genitori. Un giorno, tornando da un fallimentare colloquio di lavoro, “partecipa” ad una particolare cerimonia nella quale il sacerdote lancia nel fiume un crocifisso di legno. È una gara in cui gli uomini del paese si tuffano per recuperarlo, ma sarà invece Petrunya ad impossessarsene dando vita a un vero e proprio scandalo mediatico. Come ha osato una donna intromettersi nel rituale maschile? Un’ispida satira su una società patriarcale e retrograda, religiosamente arcaica, che la quarantenne regista macedone affronta con personalità di stile, essenziale nella forma ed esplicito nei contenuti.

 

Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija
Macedonia/Belgio/Slovenia/Croazia/Francia 2019 – 1h 40′

 BERLINO – A cominciare dal titolo, estremamente accattivante per non dire geniale, sembrava essere la rivelazione del festival il nuovo film della regista macedone Teona Strugar Mitevska, peraltro alla sua quarta partecipazione a Berlino. Anche qui, come nei precedenti, l’obiettivo è dare un’immagine non convenzionale del suo paese, appena uscito dal comunismo ma ancora in lotta per liberarsi dalle pastoie dell’autoritarismo, della discriminazione di genere, del clericalismo di ritorno.

  Petrunya, la protagonista, è una florida ragazza di trentadue anni, intelligente  colta, laureata in storia con una tesi sulla rivoluzione culturale cinese. Purtroppo, oltre ad essere abbondantemente sovrappeso, non ha un marito né un fidanzato né un lavoro, vive ancora in famigli, è depressa.
Nella scena di apertura, la vediamo trovare il coraggio di alzarsi, vestirsi, uscire, sotto il fuoco di fila della madre che non risparmia critiche al suo fisico (“guardati, fai schifo”) e la invita ad abbassarsi l’età (“di’ che ne hai 25”). Si avvia all’ennesimo colloquio di lavoro, col manager stronzo che critica la sua formazione (“perché non una tesi su Alessandro Magno?“) e il suo aspetto, pur non rinunziando ad allungare le mani… Ma ecco che, triste sulla via del ritorno, Petrunya si imbatte in una folla di giovani uomini intenti ad un rito secolare della chiesa ortodossa del luogo. Una volta all’anno il pope getta nelle acque burrascose del fiume che attraversa il paese una croce di legno. Chi tra i maschi riesce a ripescarla, oltre a testimoniare la propria fede, avrà un anno di fortuna e prosperità. Inopinatamente è proprio Petrunya che si butta in acqua prima di tutti e recupera la croce (e con essa il diritto di custodirla per un anno). Naturalmente scoppia il finimondo, con la polizia che a stento la salva dalla folla inferocita e la prende in custodia: però il reato non esiste; non è scritto da nessuna parte che una donna non possa partecipare al rito. È solo una consuetudine maschilista…
Comincia qui la seconda parte del film, purtroppo meno felice della prima. Una dopo l’altra, un po’ meccanicamente, le varie autorità (polizia, sindaco, pope) prima cercano di farla ragionare, poi le impongono (alla fine la supplicano) di restituire l’oggetto. Ma lei niente… La storia si perde un po’, i principi per cui Petrunya, e con lei la regista, si batte (uguaglianza di genere, anti-autoritarismo, separazione tra chiesa e stato) sono più detti che rappresentati. A far da pendant e a bilanciare un po’ l’atmosfera delle scene nella stazione di polizia, ecco entrare in scena, richiamata da un post su YouTube, la giovane rampante giornalista televisiva Slavica, la quale, trovatasi tra le mani lo scoop sempre sognato, fa di tutto, in nome di una solidarietà e di un femminismo d’accatto, per trasformare l’episodio, in fin dei conti insignificante, in un divisorio tra passato e futuro.


E sono interviste ad amici e parenti, ai genitori della ragazza, logicamente contrari al suo comportamento, dichiarazioni sensazionalistiche delle varie parti in causa, riprese dal vivo dei maschi scatenati e incapaci di rassegnarsi alla sconfitta. Molta carne al fuoco (c’è anche un improbabile corteggiamento da parte del più giovane e carino tra i poliziotti), ma la storia ha ormai perso il suo fulcro e il suo abbrivio e si annoda su se stessa fino alla conclusione. Straordinaria, comunque, l’interpretazione di Zorica Nusheva alias Petrunya.

Giovanni Martini – MCmagazine 49

Lascia un commento