Grazie a Dio

François Ozon

 

Grâce à Dieu
Francia 2019 – 2h 17′

 BERLINO – Nella sua lunga e prolifica carriera François Ozon si è divertito a spaziare nei generi e nelle ambientazioni più diverse, dalla analisi psico-sociologica di Potiche, di Giovane e bella e di Una nuova amica fino allo storico Frantz e allo psicodramma di Doppio amore, per limitarsi ai più recenti. Al centro, sempre il tema del doppio, dello scambio di persona, della multipla identità, anche e soprattutto, sessuale.

   Niente di tutto ciò in Grâce à Dieu, vincitore a Berlino dell’Orso d’argento, premio speciale della giuria. È questo un film completamente diverso, di denuncia, quasi di attualità; e allo stesso tempo una ricostruzione perfetta di un caso eclatante di pedofilia (non ancora concluso ,la sentenza è attesa per il 7 marzo presso la corte d’appello di Lione) che ha sconvolto la Francia in tempi recenti. Al centro un prete pedofilo, padre Bernard Preynat (Bernard Verley), accusato di aver abusato sessualmente per anni dei ragazzi a lui affidati, sia come maestro del coro sia come comandante dei boy scouts. E più ancora il suo diretto superiore, l’arcivescovo di Lione cardinale Ignace Barbarin (François Marthouret), che ne avrebbe a lungo coperto i misfatti invece di rimuoverlo.
Rispetto a Spotlight, premio Oscar 2016, che affrontava il problema della pedofilia nella diocesi di Boston attraverso il filtro, facilitatore e banalizzante, volendo, dell’inchiesta giornalistica, il film di Ozon (pensato all’inizio come un documentario e girato quasi di nascosto, lontano da Lione ) si basa esclusivamente su fatti realmente accaduti. Venuto in contatto con La parole libérée (Lift the burden, il fardello del silenzio) l’associazione che in Francia era stata creata come gruppo di riferimento per le vittime di preti pedofili, il regista sviluppa il suo racconto sulla fictionalizzazione di tre personaggi reali che si susseguono come in una ideale staffetta (assolutamente impercettibile: è questo è uno dei pregi dell’opera).
Il primo ad entrare in scena (siamo nel 2014) è Alexandre, avvocato, fervente cattolico, padre modello di 5 figli, membro di quell’alta borghesia lionese che negli anni (come vediamo nella scena di un alterco famigliare) è sempre stata dalla parte del cardinale, favorevole a sopire e a dimenticare (sono passati tanti anni…). Venuto a conoscenza che Preynat, da cui è stato abusato da piccolo, non è mai stato allontanato né punito e anzi esercita ancora adesso la sua funzione di catechista a stretto contatto con bambini e adolescenti, si rivolge a Barbarin dapprima attraverso un fitto scambio di email con i suoi collaboratori (il film in questa prima parte è quasi un racconto epistolare, ma non per questo meno avvincente) ottenendo alla fine di essere messo a confronto con lui. Ma, resosi conto che l’autorità ecclesiastica non ha nessuna intenzione di prendere provvedimenti ma solo di addivenire ad una generica assunzione di responsabilità e richiesta di perdono, decide di sporgere denuncia alla magistratura e al contempo di raccogliere altri testimoni.

Ed ecco emergere la figura di François (Dénis Menochet), temperamento vulcanico, ateo convinto, esperto di internet, che dà il via appunto al sito La parole libéré invitando tutte le possibili vittime a farsi vive (alla fine saranno più di settanta).Tra le tante, seguiamo la vicenda di Emmanuel (Swan Arlaud), il più debole dei tre, a cui la violenza subita sembra davvero aver rovinato l’esistenza: senza lavoro, infelice con la compagna, in lotta coi genitori, e ciononostante deciso anche lui a denunziare, a liberarsi. Perché qui sta l’essenza del film di Ozon, nella dicotomia tra il Silenzio (delle vittime, dei colpevoli, di chi era preposto a vigilare) e la Parola. Tutti sapevano, tutti hanno taciuto. E la parola sarà lo strumento, il grimaldello per abbattere il muro dell’ipocrisia e dell’indifferenza.
Non mancano le scene memorabili. Da quella in cui Preynat non si vergogna di giustificare la propria tara citando Cristo che anche lui in senso letterale era pedofilo ,in quanto amava i bambini ( costringendo Alexandre a proporre Il neologismo “pedosessuale” ). A quella soprattutto dove Barbarin, messo alle strette dalle prime domande del magistrato, si lascia scappare quel Grazie a Dio del titolo, riferendosi al fatto che molti casi simili non sono mai venuti alla luce o sono ormai troppo lontani nel tempo per essere per essere perseguiti. Oppure gli stessi numerosi flash-back delle molestie, potenzialmente orribili ma solo suggeriti, evocati, quasi casti.
By the Grâce of God è un’opera matura, una costruzione perfetta, solenne, piena di indignazione e allo stesso tempo rispettosa e sensibile. Una sceneggiatura senza una falla che scivola da una scena e da un personaggio all’altro impercettibilmente, senza una caduta. Due ore e un quarto di pura tensione emotiva e piacere intellettuale. Certo, film molto parlato, molto francese; ma proprio per questo in grado di ascrivere a pieno merito François Ozon nella grande tradizione francese dei Rohmer e dei Bresson.


Sembrava il più serio candidato alla vittoria finale e invece lo giuria presieduta da Juliette Binoche si è fatta sedurre da un film, Synonymes, di indubbia originalità ma anche autoreferenziale, bislacco, spesso al limite dell’assurdo e del cattivo gusto.
Sembra esserci uno spiritello, un genius loci qui a Berlino che induce le giurie a premiare non il solido prodotto, il quasi capolavoro, l’artista affermato (Lorrain, Anderson tanto per capirci) bensì il film diverso da tutti, fuori dai binari, nel male (l’orribile rumeno dell’anno scorso) come nel bene (Cesare deve morire, nel 2012, tanto per fare un esempio).

Post scriptum
Il 7 marzo ultimo scorso, la Corte d’Appello di Lione ha condannato il cardinale Barbarin a sei mesi di reclusione col la condizionale per “mancata denuncia di abusi sessuali su minori”. Il prelato ha rimesso la sua carica nelle mani del Papa.

Giovanni Martini – MCmagazine 49

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