Öndög

Mongolia 2019 – 1h 40′

 BERLINO – Il regista cinese Wang Quan’an ha un lungo, privilegiato rapporto col festival di Berlino; più volte in concorso, Orso d’oro nel 2006 con Il matrimonio di Tuya, d’argento sei anni dopo con l’epico White Deer Plain, membro della giuria nella scorsa edizione. Eccolo di nuovo in concorso quest’anno con Öndög, film di ambientazione mongola come Tuya, accolto benissimo dalla critica (in testa alle classifiche delle varie riviste specializzate fin quasi alla fine…).
Öndög .

 

 Öndög nella lingua locale significa ‘uovo‘, in particolare l’uovo fossile di dinosauro, comune a quelle latitudini e simbolo, in quanto tale, del legame tra storia e preistoria. E appunto “Dinosauro“ è come viene chiamata (per paura?per rispetto?) la pastora-cacciatrice che è l’assoluta protagonista della vicenda. Ma prima ancora di lei il vero protagonista è il paesaggio. Qui Wang, attraverso il suo bravissimo cinématographer Aymeryck Pilarsky, dà un ulteriore prova del suo talento: sono pianure immense, cieli senza fine, albe e tramonti incandescenti, brezze di vento e animali selvaggi a fare da sfondo e da colonna sonora. Riprese fisse, spesso da lontano. Poesia pura.
La vicenda in sé è quasi inesistente. In un campo di stoppie giace riverso il cadavere du una giovane donna. Arriva,con movenze chapliniane la polizia (impossibile non pensare all’inizio di C’era una volta in Anatolia). Sembrerebbe il prologo di un noir, ma non è questo che interessa all’autore (e infatti del delitto non sentiremo più parlare). Ad ogni modo si decide di non toccare niente fino all’indomani e viene lasciato di guardia il più giovane (e ingenuo) della compagnia, appena diciottenne. Scende la notte e il soldatino,nonostante i suoi sforzi (canta, balla, si agita al ritmo di una radiolina, fragile legame col mondo di fuori) morirebbe di freddo se, avvisata dai colleghi, non arrivasse in suo aiuto a dorso di cammello proprio Dinosauro, la pastora che incarna un genio femminile mongolo di forza e libertà caro al regista.

Come si apprende da un serie di gustosissimi flashback Dinosauro apparentemente vive da sola, gira armata ed è a suo agio sia nel far nascere un agnello che nello sgozzare una capra; con l’aiuto, al bisogno, di uno strano motociclista, forse ex-marito, forse eterno innamorato (in ogni caso sempre ubriaco). Arrivata sul posto lei conforta il giovanottino, lo nutre, gli fa bere qualcosa di forte e, venuta a sapere che è ancora vergine, decide di porre rimedio anche a ciò. E la scena di seduzione (ma come faranno con tutti quei vestiti, stivali, pellicce?) ripresa alternativamente dai due lati del cammello che serve loro da appoggio, con lo sfondo della notte stellata, è da manuale, sia per la regia che per la fotografia. Torneranno poi i poliziotti, tutto finirà per il meglio…
Film bizzarro, quasi astratto, metafisico e ciononostante spesso piacevolissimo per non dire comico, senzaltro geniale.

Giovanni Martini – MCmagazine 49

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