Caro diario

Nanni Moretti

Tre episodi: nel primo Moretti, per la prima volta nei panni di se stesso e non del suo alter-ego Apicella, girovaga per le strade di Roma sul suo mezzo preferito; nel secondo si reca alle Eolie; nel terzo infine racconta di una sua personale odissea sanitaria. Un film divertente e amaro, che tra gli indimenticabili tormentoni morettiani si configura come un’autobiografia profondamente collettiva, dove le ossessioni personali del regista si fondono con quelle di un paese intero. 


Italia/Franca 1993 (101′)
CANNES 47°: Premio per la miglior regia



A
vete addocchiato i flani del nuovo film di Nanni Moretti Caro diario? Un semplice disegno di un uomo su una Vespa, scarne informazioni sul cast e, come frase di lancio, un sintetico “Eccolo!”. Azzeccata presentazione per la pellicola attesissima dell’autore più personale ed introverso del nostro cinema attuale. In effetti Caro diario è davvero un evento perché nel degrado del nuovo cinema italiano la sua comparsa riprende il filo di un discorso interrotto, quello di una laconica espressione di valori e paradossi esistenziali, quale è stato dagli anni ’70 ad oggi il cinema di Moretti. E se, da Ecce Bombo, il suo logorroico interrogarsi sul privato e sul sociale aveva trovato nel personaggio di Michele Apicella un alter-ego efficace, ma ormai “bruciato” dalle radicalizzazioni etiche e politiche del trittico Bianca-La messa è finita-Palombella rossa, ora arriva ad estremizzare il suo autobiografismo raccontandosi, come “Nanni”, in tre episodi di esemplare autenticità: In Vespa, Isole e Medici.
Iniziamo dall’ultimo per segnalare, a chi non fosse informato della vicenda personale del regista, la sofferenza fisica che lo ha accompagnato, tra l’apprensione generale, in questi ultimi anni. Medici è un racconto amaro e sferzante di uomo finalmente guarito, ma che ha vissuto indimenticabili momenti di sconforto e di smarrimento di fronte alla superficilità diagnostica della classe medica con cui è venuto a contatto. Molto più “morettiano” in senso classico, Isole descrive il peregrinare del protagonista da Lipari a Salina, da Stromboli a Panarea, fino ad Alicudi alla ricerca di un luogo tranquillo dove trovare pace ed ispirazione per il proprio lavoro. Un’utopia nella realtà contemporanea, fatta di convenzionalità o radicalismi, di caos sociale e di retorica d’idee.


Ecco allora, liberatorio nella sua purezza formale e contenutistica, il sorprendente In Vespa che è un vero manifesto poetico del Moretti-pensiero nell’affrontare la vita e il cinema. Girovagando con lo scooter per la sua Roma, Nanni narra dell’essenzialità del rapporto dell’individuo con se stesso e con l’ambiente che lo circonda, ritrova l’intensità documentaristica di un cinema che fotografa con stupefatta intensità quartieri, strade, case.

E in questa sublimata “dialettica dei luoghi” Moretti non manca di dare un semplice ma pregnate tributo alla figura di Pasolini e di confrontarsi, con la solita sferzante ironia, con la sala cinematografica, con il cinema e la cultura dominante: “Voi gridavate cose orrende e violentissime e voi siete invecchiati, io gridavo cose giuste ed ora sono uno splendido quarantenne!”.

Ezio Leoni – La difesa del popolo (5 dicembre 1993)

Poche cose, nel cinema di Moretti, sono irrinunciabili come In vespa, la prima parte di quest’opera tripartita che è anche il suo film più sfuggente e teorico, il più scevro di mascheramenti, uno dei più narcisi ma anche una delle sue opere più riuscite. In Caro diario, infatti, la scrittura cinematografica si fa racconto in presa diretta di sé e, per l’appunto, diario privato, in apparenza senza più i filtri della finzione, ma allo stesso tempo capace di non rinunciare agli strumenti propri della narrazione per immagini e della personalissima idea di cinema del regista. A bordo della sua vespa, Moretti ritrae una Roma impalpabile e allo stesso tempo reinventata, che si svela a piccole ma sostanziose dosi, in bilico tra la confessione intima e la catalogazione sociale, geografica, di quartiere, e perfino filmica, con allusioni frequenti alle sue passioni ma soprattutto ai suoi disamori di spettatore. Memorabile intro sulle note, tra gli altri, di Leonard Cohen e, ancor più indimenticabile, il sipario della prima parte ambientato all’Idroscalo di Ostia, luogo dove fu ucciso Pasolini, sulle sonorità sommesse e commosse del Köln Concert di Keith Jarrett (un momento di cinema filmato con naturalezza, che colpisce dritto al cuore).

Gli altri due episodi si pongono invece a debita distanza, volutamente e con intelligenza, dalla generosità inventiva e situazionista della prima parte, andandosi a collocare però tra i momenti di morettismo più personali ma anche più sinceri di tutta la carriera del regista. Orientati, piuttosto palesemente, verso argomenti molto privati come la riflessione sulla solitudine e l’isolamento, creativo e non (il secondo, Isole, che può vantare anche un sublime uso espressivo del campo lungo), e un fastidioso malanno di salute (il terzo, Medici), pretesto attraverso il quale Moretti mette a nudo se stesso e la propria fragilità, non rinunciando a un compendio esistenziale perfino più amaro, strutturato e maturo del solito. Spassosi camei di Jennifer Beals e Carlo Mazzacurati nel primo episodio, nei panni, rispettivamente, di se stessa e del critico cinematografico che Moretti tortura nel sonno.

 longtake.it

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