Dottor Korczak

Andrzej Wajda

Il dottor Henryk Goldzmit celebre pedagogo (conosciuto da tutti con lo pseudonimo di Janus Korczak) che aveva dedicato la sua vita all’infanzia, dopo l’occupazione della Polonia si trova costretto a trasferire i duecento orfani ebrei, di cui si occupa, nel ghetto di Varsavia. Non è che un punto di passaggio purtroppo prima del trasferimento a Treblinka dove troverà anch’egli la morte assieme ai suoi piccoli amici. In un rigoroso bianco e nero quella di Dottor Korczak è una narrazione appassionata e lucida a cui Wajda concede solo qualche cedimento didascalico. Una testimonianza cinematografica forte e straziante.


Polonia/Germania/Francia 1991 (113′)

Il medico e scrittore Janusz Korczak è un ebreo polacco. Educatore, è anche il responsabile di un orfanotrofio di Varsavia in cui accoglie e cura circa duecento bambini. Durante l’invasione nazista della Polonia, è stato costretto a trasferire la sua Casa degli orfani all’interno del ghetto ebraico, dove prosegue nel suo operato. Korczak è impegnato su più fronti. Se da una parte deve confrontarsi con le esigenze materiali e con i problemi di convivenza dei suoi ragazzi, dall’altra deve mediare per la sopravvivenza dell’orfanotrofio con le figure di rilievo politico all’interno del ghetto. Per un lungo periodo egli riesce a evitare che i costanti rastrellamenti tedeschi tocchino i suoi protetti, rinunciando alle numerose occasioni che gli si prospettano per mettersi in salvo. Fino al 6 agosto 1942, giorno in cui Korczak deve scortare i suoi bambini, ignari della sorte che li attende, fino al campo di concentramento di Treblinka, dove moriranno tutti.

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 Difficile fare un film (o un romanzo) sul Bene, difficilissimo farlo su un santo laico. Grazie alla sceneggiatura di Agnieska Holland e all’energia interpretativa di Pszoniak (memorabile Robespierre nel Danton dello stesso regista), Wajda ci è riuscito, ritornando ai temi dei suoi film degli anni ’50, alla tragedia della Shoah che aveva già raccontato in Samson (1961) e al bianconero (Robby Müller). Qualche cedimento retorico e un epilogo poeticizzante e pleonastico sono i peccati minori di un film forte e straziante con due o tre momenti assai belli. Poiché, all’Ovest come nell’Est già socialista, è tornato a soffiare dagli anni ’90 il vento barbaro dell’antisemitismo, è anche un film attuale.

Il Morandini – Dizionario dei film

Costruito intorno al tema centrale dell’antisemitismo e della shoah, il film è ambientato in uno dei luoghi più emblematici della persecuzione nazista: il ghetto di Varsavia. Il personaggio del dottor Korczak (ispirato all’educatore ebreo Henryk Goldzmit), che si trova al centro del racconto, rappresenta una figura straordinaria di educatore e insegnante, che fa della funzione pedagogica la ragione suprema alla quale sacrificare anche la propria vita. Il suo compito è quello di offrire un’accoglienza ai figli degli ebrei discriminati e deportati, cercando di tenerli lontani, sia materialmente sia psicologicamente, da ciò che accade nel mondo esterno, oltre le mura dell’orfanotrofio. Per fare questo, Korczak si attiva nel costruire e nutrire un clima di forte solidarietà e mutua assistenza all’interno del proprio istituto. Egli diventa, nello stesso tempo, un maestro e un padre per i ragazzi, venendo chiamato quotidianamente a risolvere ogni problema e ogni disputa, ma sempre cercando di responsabilizzare le parti della contesa. Il modello formativo di Korczak vuole essere un’educazione al dialogo e alla soluzione ragionevole e pacifica dei conflitti.
Tutto ciò in un momento storico in cui regnano valori come la discriminazione e la violenza (vedi i numerosi pestaggi, dei quali sono vittima alcuni ragazzi e lo stesso Korczak). Per questa ragione, il protagonista dà vita a una sorta di tribunale in cui sono gli stessi ragazzi a giudicare gli educatori, secondo il principio della messa in discussione di un mondo dominato dalle logiche e dagli interessi degli adulti. In un tale contesto la presenza di Korczak serve ai giovani dell’orfanotrofio per recuperare la fiducia nel futuro (è il caso dell’adolescente Janek, separato dall’amatissima ariana Ewa per ragioni che stanno al di sopra di lui) e per imparare a far tesoro dei sentimenti altrui (Janes accetta il conforto di Natka, sua compagna di sventura, che da tempo lo ama). Il film insiste sull’estraneità dei piccoli protagonisti alla situazione di cui sono vittime. E da questo punto di vista vengono sottolineati anche gli equilibrismi politici con i quali, per lungo tempo, si riesce a mantenere gli orfani lontani dai persecutori. Offrendo così una visione complessa e problematica della comunità ebraica e sollevando la questione del collaborazionismo e della criminalità attiva all’interno ghetto.
Decisivo, nel lavoro pedagogico svolto da Korczak, è il ruolo del teatro, attraverso la preparazione e messa in scena di uno spettacolo ispirato a un’opera dell’autore indiano Tagore. Qui, insegnando ai bambini a recitare e a entrare in una realtà parallela, li si avvia alla coscienza del fatto che essi sono destinati alla morte. Un’educazione alla morte volta a presentare un tale evento come il più naturale possibile e ad avvolgerlo nella dimensione del sogno e della fantasticheria. E che servirà ad accompagnare i bambini nel viaggio finale, rendendo quest’ultimo il più dolce possibile.
Degna di nota è l’attenzione prestata dal film nei confronti del cinema e del suo ruolo decisivo all’interno della propaganda nazista (Korczak spiega la strategia di Goebbels volta a far leva sullo sprezzante cinismo che bolla gli ebrei come esseri miserabili). Da qui l’invettiva del protagonista (pronunciata, significativamente, nella scena in cui il dottore accompagna un piccolo ospite a fare la pipì in una stanza completamente buia), nei confronti di coloro che, mostrando le sofferenze e le debolezze altrui, le spettacolarizzano strumentalizzandole a proprio vantaggio.

Umberto Mosca – AIACE Torino

Andrzej Wajda ha avuto l’ambizione, nel corso di tutta la sua carriera, di raccontare la Polonia e la sua storia, ma soprattutto tratteggiare i suoi connazionali. In Dottor Korczak si concentra su una vicenda straziante avvenuta durante l’occupazione tedesca, ma è sempre radicato nell’individuo il suo principale interesse: il suo occhio diventa quello del protagonista, un grande della pedagogia novecentesca e un giusto sconfitto dall’orrore della Storia. Lo spettatore partecipa al rigoroso senso etico del personaggio, è commosso dal suo legame con i piccoli orfani che accudisce, accompagna il suo peregrinare nella Varsavia occupata e già perduta. Tra gli spunti più interessanti del film, certamente la restituzione di alcune teorie del dottore volte a responsabilizzare i ragazzi, a crescerli consapevoli del loro ruolo nella società; tra gli elementi meno riusciti, invece, un andamento piuttosto altalenante e alcuni passaggi troppo didascalici e un po’ scolastici. Fotografato in un bianco e nero molto aderente all’estetica degli anni in cui è ambientato, Dottor Korczak è comunque un documento prezioso e un film sull’Olocausto pregevolmente povero di retorica e di eccessiva ricerca della commozione. Scritto da Agnieszka Holland..

longtake

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