Mi chiamo Francesco Totti

Alex Infascelli

Un documentario sullo storico capitano dell’A.S. Roma, che nelle ore antecedenti al suo addio al mondo del calcio, ripercorre davanti a uno specchio la sua vita e la sua carriera, fino a diventare uno dei simboli iconici della sua squadra. Tra momenti calcistici importanti, ricordi e scene più intime, Francesco racconta se stesso come uomo e come calciatore,, tra scelte sul campo e scelte nel privato.


Italia 2020 (106′)


    E pensare che la prima parola che ho detto è stata ..palla”. Ovvero, quando il destino è evidente da subito agli occhi di chi lo sa riconoscere. Non poteva che iniziare così Mi chiamo Francesco Totti, il documentario sul mitico Capitano della Roma, indiscusso evento della 15ma Festa del Cinema, rimasta orfana della sua presenza come il campione purtroppo lo è diventato di suo padre qualche giorno fa.
“Ma forse Francesco ha già detto tutto in questo film, la brutta sorte ha voluto che la sua assenza valorizzasse ancor più la presenza nel racconto in prima persona” osa dichiarare il regista Alex Infascelli, uno che sa poco di calcio ma molto di sguardi. E non c’è dubbio che un tifoso coinvolto sarebbe facilmente scivolato nella rischiosa impresa di contenere la persona/personaggio Francesco Totti, la cui vicenda esistenziale coincide col racconto di una città, un popolo, una storia d’amore eterno. Non a caso l’epicentro narrativo del documentario è proprio l’incredibile relazione del Capitano con la sua città, che l’ha visto nascere nel 1976, crescere e trionfare: una sorta di patto di fedeltà al di là di ogni tentazione di fuga – surrogata da offerte d’acquisto miliardarie da parte di squadre blasonate come il Real Madrid – che ha legato Totti all’Urbe, alla maglia dell’AS Roma come nessuno mai aveva fatto in precedenza in Italia.


Seguendo come ossatura narrativa la confessione contenuta nel libro Un capitano di Paolo Condò,  il doc di Infascelli diventa anche il sintomo di una generazione, di una visione di mondo, di un sentimento condiviso, ma anche dell’irresistibile ironia e simpatia di cui Totti è noto portatore, specchiata in quella del regista, altrettanto accesa. Il racconto segue la struttura narrativa classica dell’eroe che rivisita intimamente le proprie gesta, fra trionfi e fragilità: “Inizialmente abbiamo girato le riprese notturne nello stadio vuoto unendovi alcuni materiali d’archivio – spiega Infascelli – a quel punto mi sono rinchiuso al montaggio creando una struttura in tre atti. Poi è arrivato Francesco in una fase già avanzata del lavoro e gli ho mostrato un serbatoio pieno di immagini”. “Ci siamo seduti su un divano con un caffè e dei biscotti, un microfono nascosto, e nella penombra abbiamo iniziato a parlare, parlare, parlare.. – continua il filmmaker romano – Immergendoci in questa chiacchierata, Francesco a volte seguiva il mio copione altre volte navigava a vista, entrando in luoghi assurdi nella sua coscienza. E tale flusso di coscienza di Francesco andava a ricostruire a scalfire quello che avevo fatto dandovi una nuova forma. La volta successiva gli riproponevo una nuova struttura, con elementi inediti di visione, al quale lui reagiva dando altre emozioni. In questa costante impollinazione reciproca. Il film è una co-regia. E’ un lavoro dal di dentro”.

Il percorso della “fiaba” di Totti si apre sul suo corpo solitario all’interno dell’Olimpico vuoto: incappucciato come uno Jedi, è a tutti gli effetti una figura mitica, quasi cristologica, simbolo e sintomo dell’eroe classico alla vigilia della prova più dura della sua vita: lasciare il calcio dopo una carriera infinita. All’interno di questa cornice emerge il bimbo biondissimo precoce talento, la famiglia amorevole benché “mio padre non mi ha mai fatto un complimento” (forse questa frase oggi non l’avrebbe più detta..), i primi passi nelle giovanili e la grande entrata nell’AS Roma (“per fortuna la Lodigiani non mi ha venduto alla Lazio altrimenti gli avrei tolto il saluto!”), i successi inanellati in goal che hanno creato l’immaginario collettivo dei calciofili non solo romanisti, lo scudetto, il succedersi dei diversi allenatori, l’amore con Ilary Blasi, il rapporto con la notorietà (“non sono più Francesco, sono diventato un monumento di Roma anche io!”), i Mondiali conquistati dopo l’infortunio, fino al recente passato con quella indimenticabile e struggente serata del 28 maggio 2017, quell’addio che non avrebbe mai voluto dare al suo stadio.
A quel punto l’uomo Francesco e il personaggio Totti sono maturati e distinti nel dialogo con il “loro” pubblico: “Eccoci qua. E tu, Roma che fai, dormi?”

Anna Maria Pasett – ilfattoquotidiano.it

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