Negli anni ’70 a Detroit, un romantico operaio viene incastrato da uno spietato gangster dopo essersi innamorato della sua ragazza. Dopo anni di prigione, torna con un unico obiettivo: vendicarsi.

USA 2025 (103′)
VENEZIA – All’interno della sezione Spotlight, novità della 82° Mostra del Cinema di Venezia, è stato presentato il nuovo film del regista americano Potsy Ponciroli (Old Henry) che ha subito attirato la curiosità dei cinefili con la sua definizione di film “senza dialoghi”. Nell’ambiente dei festival solitamente questa dicitura accompagna film di silenzio assordante, spesso organizzati per lunghi campi in cui gli attori si muovono flemmaticamente (come non pensare ai più celebri film di Lav Diaz) oppure drammi di paradossale complessità (come Moebius di Kim Ki-Duk).

In effetti è una dicitura che non usa accompagnare neanche i film muti delle origini, poiché nonostante non siano parlati una forma di dialogo in una o più lingue è quasi sempre presente sotto forma di cartelli. Quindi una volta entrati in sala per la proiezione di Motor City, senza sapere altro sul film se non quella definizione, ci si trova spiazzati di fronte a una ritmata sequenza di musica e colori, dove sin da subito capiamo di essere all’interno di un gangster movie violentissimo quando vediamo un uomo robusto scaraventare dal tetto di un palazzo un uomo tramortito con una gamba sola. Decisamente un inizio scoppiettante.
Il protagonista, interpretato dall’imponente Alan Ritchson, è un operaio che è stato incastrato da un boss della malavita locale (Ben Foster) perché si è innamorato della sua fidanzata (Shailene Woodley) e deve uscire di prigione per poterla riconquistare e chiudere i conti. Una storia semplice al limite della banalità, ma è l’esecuzione che lascia a bocca aperta. La scelta di rinunciare a ogni forma di dialogo parlato permette una totale espressione del mezzo cinematografico puro, immagini e suoni, dimostrando la loro totale efficacia. È così immediato restare incantati nei flashback che ricordano l’incontro dei due innamorati o saltare sulla sedia per una irruzione con lacrimogeni e fucili spianati, poiché gli attori e le dinamiche da essi innescati descrivono con visibile chiarezza le sfumature necessarie per farci empatizzare. All’assenza di dialogo non facciamo più caso, e viene da pensare che proprio il fatto di non aver dovuto pensare alle parole da mettere in bocca ai personaggi li abbia spinti a emergere con maggiore chiarezza solo con le espressioni e i gesti, calibrati ed enfatizzati da puntuali rallenty estetizzanti, che rimandano a un’estetica da graphic novel e da videoclip.

Al videoclip è facile pensare anche perché tutto il film è percorso da irresistibili brani degli anni ’70, periodo in cui il film è ambientato, e che accentuano i diversi crescendo, emotivi e d’azione, che sono continui nel corso del film e provvedono a un ritmo veloce e avvincente. Una grande prova di regia che mette in luce il potere del cinema, in maniera semplice e sorprendente allo stesso tempo. Ora la domanda si sposta sul fronte distributivo in Italia: troverà un film d’azione “muto” spazio nei nostri cinema? I nomi coinvolti non sono stellari, la durata perfetta di appena un’ora e novanta forse non soddisfa più in un momento in cui tutti i film durano più di due ore, l’assenza del dialogo può essere una indicazione che spaventa lo spettatore più che incuriosirlo…Rischiamo forse di vedere sprecato un altro ottimo film nelle infinite library delle piattaforme streaming? A questo punto solo una attenta campagna di marketing lo può salvare e permettere ai fortunati spettatori che lo potranno trovare in sala l’esperienza pirotecnica che è Motor City.
Arianna Vietina – MCmagazine 105

