Porcelain War

Brendan Bellomo, Slava Leontyev

Mentre la guerra devasta la loro terra, tre artisti scelgono di restare nella loro Ucraina, armati della loro arte, delle loro macchine fotografiche e, per la prima volta nella vita, delle loro armi. Trovando con aria di sfida la bellezza in mezzo alla distruzione, dimostrano che, sebbene sia facile spaventare le persone, è difficile distruggere la loro passione per la vita. Un commovente tributo alla resilienza dello spirito umano, che incarna la speranza e la passione duratura di persone comuni che vivono circostanze straordinarie.


USA/Ucraina/Australia 2024 (86′)
SUNDANCE Festival – Gran Premio della Giuria
Con il patrocinio dell’Ambasciata d’Ucraina nella Repubblica Italia
Lux Padova Logo

   Il documentario segue le storie dei soldati ucraini Slava Leontyev, co-regista con Bellomo, Anya Stasenko e Andrey Stefanov nel corso della guerra tra Ucraina e Russia. Leontyev precedentemente svolgeva il lavoro di artista della ceramica insieme ad Anya, sua moglie, con la quale creavano piccole sculture in porcellana. Nonostante l’incertezza di arrivare al giorno dopo vivi, gli artisti diventati soldati non smettono di creare le piccole sculture, in segno di forza e resilienza contro lo scontro che ha lasciato l’Ucraina e il mondo intero impotenti alla brutalità degli invasori russi. Porcelain War è un grido di resistenza alla brutalità della guerra che coinvolge l’arte e la realtà come uniche merci di scambio per sopravvivere e restare umani. Il messaggio del docu è incredibilmente vivido e disarmante : ricordarsi che l’identità dell’uomo anche dinnanzi alle atrocità deve restare intatta dando un senso a ciò che sembra non averlo. Il rischioso documentario è soprattutto frutto del lavoro non solo dei due registi ma anche di volontari che mentre combattevano si trasformavano in operatori con droni e semplici GoPro. Alle riprese reali sono state poi aggiunte in fase di montaggio scene animate realizzate dalla casa di produzione polacca BluBlu Studios. Un film che non nasconde la brutalità della guerra ma cerca anche di esprimere arte e cultura nella drammatica situazione ucraina.

Antonio Quaranta – taxidrivers.it

   «La porcellana è fragile ma è eterna. Resiste a temperature estreme. E anche dopo essere rimasta sepolta per migliaia di anni, si può restaurare». Sono le parole di Slava Leontyev, uno dei protagonisti (e anche co-regista) del documentario Porcelain War di Brendan Bellomo. Una delle più potenti testimonianze di una guerra, quella in Ucraina, alla quale il mondo sembra essersi assuefatto. E, invece, sul fronte, soprattutto a Kharkiv e a Bachmut, si combatte senza sosta. Slava, la sua compagna Anya e Andrey sono tre artisti originari della Crimea, già occupata nel 2014 dalle armate russe. Il primo realizza delle sculture di animali in porcellana; la seconda le decora con disegni immaginifici e colorati, il terzo dipinge. Sono «persone ordinarie in una situazione straordinaria» – così si definiscono – che hanno scelto di rimanere al servizio del proprio paese, con le armi ma, soprattutto con la loro arte. Perché distruggere la cultura di un popolo significa cancellarne la memoria e il senso di appartenenza. Da qui la loro resistenza e la loro resilienza ad un presente in cui le bombe cadono a pochi metri dalle loro case, in mezzo al bosco dove trovano pace e rifugio e da cui non vogliono fuggire. Porcelain War – già vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance e candidato all’Oscar come miglior documentario nel 2024 (quell’anno vinse No Other Land sull’altra grande tragedia moderna: quella della Palestina) – riaccende i riflettori su quel conflitto, cogliendone tutta la sua drammaticità quotidiana che colpisce più degli “istant movie” sinora prodotti sull’argomento. I palazzi sventrati, le trincee, i segni tangibili e concreti della guerra ci sono. Ma a impressionare è il racconto, quasi esistenziale, di tre persone che camminano sul filo del rasoio. Sono artisti ma anche guerrieri che accettano il loro destino. Il loro Eden, la Crimea, è diventato un inferno già molti anni prima (e i disegni su una lumaca di porcellana che prendono vita lo raccontano meglio di qualsiasi immagine realistica). Ora sono profughi che viaggiano, appunto, come lumache senza casa sulla schiena: vivono nella natura e si ispirano alla stessa per realizzare piccole figure animalesche che, nelle mani dei soldati o lasciati tra le rovine dopo un attacco missilistico, diventano simbolo di sopravvivenza. L’effetto è quasi straniante: manufatti tanto fragili in mezzo alla distruzione; amuleti pagani che attraversano i campi di guerra. L’espressione artistica e l’arte diventano terapia di vivere, di comunicare, di ribellarsi per preservare una identità graffiata e violata. E la creazione di queste sculture è l’antidoto alla cancellazione come se questi draghi, gufi e cani di porcellana si trasformassero in custodi di immagini che, altrimenti, svanirebbero sotto le macerie.

Il film, presentato per la prima volta in Italia a Padova al cinema Lux,  arriva grazie alla tenacia della casa di distribuzione cinematografica N Film fondata da due fratelli padovani, Luca e Francesco Notarangelo, che, da oltre 15 anni, svolgono un prezioso lavoro di ricerca per trovare film che possano emozionare e colpire. Dietro ogni loro titolo si percepisce la curiosità, la scintilla che invita lo spettatore a scoprire qualcosa che non sapeva di voler guardare. E la guerra in Ucraina e le storie dietro ad un conflitto così lungo e così mediaticamente depistante non potevano non incrociare il cammino di questa realtà che interpreta il cinema come esperienza di condivisione che dialoga con lo spettatore e lo rende parte attiva di un processo in cui le immagini sono vissute e non solo guardate. La forza di Porcelain War è proprio questa: come le decorazioni di Anya, il film prende vita sotto i nostri occhi, trasforma il materiale di un reportage di guerra in qualcosa di nuovo e vitale. Imbraccia l’arte come un fucile per gridare «Noi siamo ancora qui». Ma non è eroismo fine a se stesso. È un atto di ribellione, è la speranza di poter tornare nei boschi alla luce del sole. E vederlo sorgere anche il giorno dopo.

Marco Contino – il Mattino di Padova

 

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