Testa o croce?

Matteo Zoppis, Alessio Rigo de Righi

All’alba del XX secolo il Wild West Show di Buffalo Bill arriva a Roma per vendere agli italiani il mito della frontiera, a colpi di fucili a salve e spettacoli di cowboy. Qui, nella cornice di una gara di doma divenuta leggenda tra cowboys e butteri italiani, Rosa, giovane moglie del signorotto locale, si innamora di Santino, il buttero che vince la sfida. In seguito all’omicidio del marito, Rosa e Santino fuggono insieme, ma la giustizia, come sempre, è venduta al miglior offerente e sulla testa di Santino viene messa una grossa taglia. Con Buffalo Bill sulle loro tracce, Rosa sogna l’America, quella vera, non quella dei manifesti pubblicitari con i bisonti, ma il suo sogno dovrà fare i conti con la realtà. Perché, come in ogni ballata western che si rispetti, il destino lancia la moneta. E spesso, la verità resta sepolta sottoterra.


Italia/USA 2025 (116′)
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     Dopo il folgorante esordio con Re Granchio, che sembrava uscito da un sogno salgariano, la coppia di registi Rigo de Righi/Zoppis torna a raccontare una storia a due facce, proprio il titolo del film. Testa o croce? è un western a pasta densa che, nella prima parte, omaggia quel genere dove la frontiera è rappresentata dalle terre selvagge di una Tuscia popolata da latifondisti, briganti (come Zecchino/Gabriele Silli, già protagonista di Re Granchio), rivoluzionari, ubriaconi e poveri diavoli come, in fondo, è Santino: uno che ha vissuto più con le bestie che con i cristiani, che canta stornelli per la sua bella Rosa e cerca l’America senza sapere dov’è. La coppia di registi porta in scena una ballata dal basso, tenacemente attaccata alla terra: i protagonisti dormono sull’erba, guadano paludi piene di rane, si immergono in una natura insidiosa ma, allo stesso tempo, protettiva. Fino alla svolta del conflitto a fuoco tra i “peones” e gli uomini di Rupè, quando il racconto prende una piega surreale e Rosa ne diventa il baricentro, non solo drammaturgico, ma anche “politico”, con la sua fame di “liberazione” da un mondo che le sta stretto sin dal corsetto che porta.

Marco Contino – il nordest.it

 

  Testa o croce? testimonia sin dal titolo la volontà di una scommessa. Quella di ridefinire l’universo del cinema di Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, sempre così preciso e localizzato nelle sue origini geografiche e antropologiche, attraverso l’immaginario western. Detto così è semplice (e “infatti lo è, detto così”, avrebbe ribattuto qualcuno). Ma, in verità, una scommessa in parte simile era stata già tentata e vinta con Re Granchio. Seppur giocata in uno scenario e in un orizzonte diverso, forse più letterario che cinematografico. Qui, invece, la partita si fa più dura perché si va all’essenza del cinema, al genere che è sempre stato specchio delle idee e delle questioni di una società. E che in Italia, ovviamente, ha trovato una sua declinazione di “secondo livello”, profondamente caratterizzata per toni, figure, situazioni, temi. Una tradizione a cui Zoppis e Rigo de Righi non sembrano guardare con particolare attenzione, se non, forse, per le sue declinazioni parodiche e per la riflessione leoniana sui meccanismi spettacolari e la dimensione mitica del western. Perché il punto centrale della riflessione dei due registi riguarda sempre il momento in cui la parola, il racconto orale si trasforma in mito. E i modi in cui l’immagine possa restituire il mistero di questa trasformazione. (…) Cosa resta dell’aura di una leggenda nel momento in cui si fa spettacolo e si cristallizza in un’immagine? È la questione più interessante e vitale di Testa o croce?…

Aldo Spiniello – sentieri selvaggi.it

  Dopo l’ottimo Re Granchio, la coppia di registi Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis continua a ribaltare le regole del genere, allargando l’avventura alla riflessione sui meccanismi che creano e ingigantiscono il mito facendolo crescere. Forse la sceneggiatura (firmata dai registi con Carlo Salsa) mette troppa carne al fuoco, rivoluzionari anarco-socialisti compresi, ma non si dimentica come il film sappia intrecciare il folklore di un’Italia appena unificata con il mito tutto americano del West. Vedendo in una donna il nuovo motore della Storia.

Paolo Mereghetti – iodonna.it 

   …A narrarla, in un certo senso, è lo stesso Buffalo Bill (John C. Reilly), a cadenzarla quattro capitoli, a viverla Rosa (Nadia Tereszkiewicz) e Santino (Alessandro Borghi), lei moglie infelice del signorotto locale, lui mandriano che vince la sfida di doma “tradendo” la volontà del suo padrone. La loro fuga, che poi diventa d’amore, sarà naturalmente irta di insidie e di imprevisti. Il miraggio (per Rosa) è l’America, ma quella vera, non la versione farlocca e cartonata delle rievocazioni di conquista. “Ogni grande nazione è nata con la violenza”, le ricorda lo stesso cowboy nel preambolo. E suo malgrado Rosa per salvarsi e poi emanciparsi definitivamente non se lo farà dire due volte. Più propensi ad una narrativa meno affidata alla trasfigurazione dell’epica come nel film precedente, Rigo de Righi e Zoppis non perdono però l’afflato lirico e terragno.

Valerio Sammarco – cinematografo.it

 

 

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