L’altra Heimat - Cronaca di un sogno
(Die andere Heimat - Chronick einer Sehnsucht)
Edgar Reitz - Germania 2013 - 3h 50'


Venezia 70 - Fuori concorso


 

  C’è un'altra patria (Die andere Heimat) nell’immaginario cinematografica che Edgar Reitz ci propone a nove anni dal terzo sipario chiuso sulla sua saga. Una patria che come “conclude” il titolo non è una terra che necessariamente va calpestata e vissuta. Per Jakob, il protagonista della nuova puntata che scava nelle origini di casa Simon e nella storia di Schabbach (siamo nella prima metà dell’ottocento e saranno ancora vaghe, anche alla fine delle quattro ore di proiezione, le indicazione sulla genealogia che porta al gruppo famigliare che abbiamo conosciuto in Heimat), l’altra Heimat è nella cronaca di una nostalgia (Chronick einer Sehnsucht), nel desiderio di una patria non vessata dalla angherie del dominio prussiano, di una patria “migrante”, di un paese lontano dove trasportare la concretezza delle proprie aspirazioni (i suoi compaesani gli sembrano vivere “a immagine delle loro miserie e non dei loro sogni”) e delle proprie conoscenze, dove acquietare la propria ansia interiore e, superando i confini angusti della tradizione contadina, arrivare a possedere i segreti di una cultura nuova, ricca di sfaccettature e significati reconditi.

Jakob legge i suoi libri sui nativi sudamericani, impara il caleidoscopico bagaglio di senso che la loro lingua racchiude e tutto ciò riempie il suo cuore e i suoi pensieri. Attraverso l’inarrestabile fluire dell'io narrante del suo “eroe”, Reitz ci spalanca le porte di un "altro" Hunsrück, in cui i progetti migratori (verso il Brasile) sono ancora incerti, scalpitano più nella mente di Jakob che nelle prospettive dei suoi concittadini, tanto meno nei progetti della sua famiglia da cui viene redarguito per il suo estraniarsi e per la sua "pigrizia" (il padre lo scopre di continuo con un libro in mano anziché dedito al lavoro). Ciò non impedisce a Jakob di entrare in sintonia sentimentale con Jettchen (che le "alcoliche" conseguenze di una festa di paese spingeranno però nelle braccia del fratello Gustav) e di esporsi in prima persona nelle proteste contro gli sgherri del barone locale: sempre in quella fatidica festa (novembre del '42) la sua esuberanza contestatrice lo farà finire in cella. Così nel flusso del suo affabulare c'è spazio per un'ermetica verbalità d’amore ("na ana mana sizu"), e per categoriche dichiarazioni di impegno politico ("quale aspirazione più alta che unirsi e combattere per sconfiggere la sopraffazione?"), di etica sociale ("non c’è dignità se manca il sostentamento""la libertà non è l'opposto della prigionia, è un sacro diritto scritto nei nostri cuori"), di amara rassegnazione ("possiamo difenderci da tutti, ma non dal gelido spettro della morte").

Reitz si tiene ancorato alla storia della Renania (la cometa del 2 marzo del 1943) e segue la sofferta crescita culturale di Jakob a cui sfuggirà l'occasione per il tanto sospirato viaggio oltreoceano, ma che saprà costruirsi una reputazione di raffinato pensatore (teso a "cercare nella parola il senso teorico e pratico del vivere") tanto da ricevere la visita del famoso linguista Wilhelm Von Humboldt. Memorabile il cameo nell’interpretazione di Werner Herzog così come quello che Reitz stesso ci regala nei panni di un contadino che "delimita" il confine estremo del campo e dell'inquadratura.

 

Ma oltre che di personaggi di intensa veridicità (a fianco di Henriette e dela sua amica Florinchen, tutti i vari familiari Simon: dalla nonna allo zio, dal fratello Gustav alla sorella Lena, cacciata di casa per aver sposato un cattolico; dal severo papà Johann, il fabbro del paese, alla dolce e comprensiva mamma Margarethe, interpretata da Marita Breuer, che fa da metalingustico ponte con Heimat – lì era Maria Simon, la moglie di Paul che resta sola a crescere i due figli, Anton e Ernst) Die andere Heimat si inebria di una liricità paesaggistica che mescola Ford e Dovshenko: quei carri migranti che segnano la linea dell’orizzonte, quei campi sterminati che rendono piccolo l’essere umano e grande la potenza matrigna della natura…

Ad essi Edgar Reitz sa poi far corrispondere, con pari intensità emotiva, le pulsioni dei sentimenti, i fortuiti squarci dell'amore. Quando Gustav si accinge a partire riceve da Jakob un sacchetto di terra dell’Hunsrück, il padre gli affida martello e tenaglie, la suocera piange... E nella sequenza che vede per un momento premiato il frustrato legame tra Jakob e Henriette, in quel loro breve amplesso "protetto" dalla cancellata del cimitero, vibra un sincero trasporto di dolce sensualità: "guardami negli occhi" – non così; piano…"

 

La capacità di Die andere Heimat di coniugare il fascino del racconto con quello dell'inquadratura ("uno stile che crea il senso" diceva Bazin) si estrinseca nei campi lunghi delle carovane che lasciano la loro terra (un cinemascope da brivido!), in quella macchina da presa così a proprio agio nell'accompagnarci negli interni di casa Simon, in quei movimenti fluidi con cui accarezza le distese di grano…

 

E con uno sfizioso preziosismo estetico che già aveva frequentato in Heimat, Reitz gioca con lo sguardo estasiato dello spettatore. Ci sono una ventina di inserti colorati che ravvivano la perfetta armonia del bianco e nero: il ferro di cavallo incandescente, la bandiera tedesca sulla zattera, la cometa, i rami verdi e la lampada di rame nella locanda, la gonna di una signora alla festa, le bacche rosse sull'albero e i fiori celesti nel campo, il luigi d'oro, il vischio e le corone sulle sedie al matrimonio, la scritta rossa mentre Jakob accorre dalla madre, l'arancio traslucido dell'agata… Squarci di luce che restano nei nostri occhi, a focalizzare i momenti topici del racconto e ad illuminare le tappe della nostra emozione.

ezio leoni - ottobre 2013 - pubblicato su MCmagazine 35


promo

L'altra patria che Edgar Reitz ci propone a nove anni dal terzo sipario chiuso sulla sua saga, non è una terra che necessariamente va calpestata e vissuta. Siamo ancora a Schabbach, nella prima metà dell’ottocento e per il protagonista Jakob Simon l’altra Heimat sta nel desiderio di un Hunsrück non vessato dalla angherie del dominio prussiano, di una patria “migrante”, di un paese lontano dove trasportare la concretezza delle proprie aspirazioni e delle proprie conoscenze. Die andere Heimat si inebria di una liricità paesaggistica che mescola Ford e Dovshenko, coniugando il fascino del racconto con quello dell'inquadratura: i campi lunghi delle carovane che lasciano la loro terra (un cinemascope da brivido!), la macchina da presa che accompagna con naturalezza negli interni di casa Simon, che accarezza con movimenti fluidi le distese di grano… L’altra Heimat è per i protagonisti e per il pubblico la "cronaca di una nostalgia" (Chronick einer Sehnsucht nel titolo originale)!

LUX - aprile 2015

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