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giugno 2009

trimestrale di cinema, cultura e altro... ©

n° 26
Reg.1757 (PD 20/08/01)

pag. 4

Da Nosferatu a Twilight: il vampiro, un mito senza tempo

È l’ultima incarnazione di una figura cara alla cultura giovanile, il bad boy o la bad girl: il bastardo bello e tormentato, che affascina eppure fa paura. Aspetto che ritroviamo rappresentato in forma molto più ambigua ed inquietante anche nel film svedese Lasciami entrare di Tomas Alfredson (tratto dal romanzo di J. A. Lindqvist, a sua volta ispirato alla novella Carmilla di Le Fanu), sublime lettura del mito in chiave contemporanea, che affida il ruolo del vampiro ad una giovane adolescente, che porta su di sé le stimmate dell’ emarginazione sociale e culturale, ma nello stesso tempo è dotata di una forza, derivata proprio da questa sua diversità, che prelude ad una possibilità di dominio. Purtroppo la visibilità del film di Alfredson, sicuramente uno dei più interessanti di questa stagione, è stata oscurata dalla sua presenza sugli schermi in contemporanea con Twilight.
È innegabile che l’inossidabilità di un mito, come quello del vampiro, sia dovuta al fatto che temi come la morte e l’immortalità continueranno sempre ad affascinare e che l’interrogativo che il vampiro pone su dove stia il confine tra la vita e la morte sia una domanda estremamente attuale, ma ciò che rende unica la figura del vampiro è il suo essere tutt’uno con il cinema.
In una sequenza del bellissimo
Dracula di Bram Stoker di Coppola vediamo Dracula che conduce l’amata Mina, in occasione di uno dei loro primi appuntamenti, in una sala cinematografica. Coppola volle alludere al fatto che nel lungo periodo di oblio in cui cadde il romanzo di Stoker, fu il cinema a ridare vita al suo mito. Se c’è infatti un personaggio letterario, che, grazie al cinema, è sopravvissuto al romanzo che l’ha creato, questo è Dracula.
Il romanzo di Bram Stoker Dracula venne pubblicato dalla Archibald Constable & Co. di Londra nel 1897, ebbe un discreto successo, ma fu seguito da un’unica ristampa nel 1913, dopo di che rimase introvabile fino al rinnovato interesse per l’autore e per il personaggio negli anni Settanta, molto tempo dopo il suo ingresso nel mondo del cinema e nell’immaginario popolare. Questo lungo silenzio è stato rotto solo dalla voce che ha saputo dargli il cinema, nato poco più di un anno prima della pubblicazione del romanzo.
I primi film di vampiri risalgono al secondo decennio del secolo, che è quello in cui prende forma il racconto cinematografico: si tratta di opere per lo più inglesi o americane, spesso anonime, per lo più andate distrutte.
Il primo vero film ispirato al Dracula di Stoker è
Nosferatu il vampiro di Fredrich Murnau del 1921. Esso nasce in un clima culturale che, dopo la prima guerra mondiale, rivive angosce e paure che hanno già alimentato l’espressionismo. Il grande tema di Murnau è lo scontro col destino, in cui ogni personaggio è ciò che deve essere e non ha scelta, la vittoria del Male è iscritta nel nostro destino, a nulla approda la lotta della ragione contro il mistero. Non a caso il finale di Murnau è completamente diverso da quello di Stoker. Ellen si sacrifica e muore tra le braccia di Hutter, dopo aver trattenuto Orlok fino al sorgere del sole, in un amplesso in qualche modo desiderato. Sennonché Murnau introduce anche con insistenza le immagini della peste, "senza le quali Nosferatu sarebbe soltanto un’allegoria del desiderio che muore nel momento in cui viene soddisfatto. La peste svincola il film dall’astrazione romantica, restituisce una Weltanschauung dominata dalle tenebre e dall’autodistruzione, da un mondo che muore senza lasciarne apparire uno nuovo” (Cremonini, Dracula). L’attore austriaco, poco noto, Max Schreck, scelto da Murnau per interpretare il vampiro, dona al personaggio una fissità espressiva, quasi da maschera, i suoi movimenti sospesi tra lo ieratico e il meccanico ne fanno un’icona semovente, un quadro che esce dalla cornice, quando non addirittura solo un’ombra che sostituisce la figura. Murnau gioca spesso sulla natura di ombra del suo protagonista, ombra che a volte si muove indipendentemente dal suo corpo: l’ombra di Nosferatu non è la metafora dell’anima, ma quella, altrettanto metafisica del male.

Nel 1930, dopo un’estenuante trattativa con la vedova Stoker, la casa di produzione americana Universal riuscì ad aggiudicarsi i diritti per la trasposizione cinematografica di Dracula. La regia venne affidata a Tod Browning e la parte del vampiro all’attore di origini ungheresi Bela Lugosi, che lo aveva già interpretato con successo a teatro. il Dracula di Browning puntava soprattutto sulle atmosfere, grazie alla collaborazione con il grande fotografo Karl Freund: il Dracula in versione elegante, con frack e mantello nero di Lugosi, che tra l’altro contribuiva a rafforzarne l’esotismo grazie alla sua pronuncia straniera e gutturale, lascerà una traccia per molte interpretazioni successive.
Il successo del film, di cui uscì tra l’altro anche una versione spagnola, e la realizzazione in contemporanea di un altro film horror Frankenstein ebbe come conseguenza la nascita di una vera e propria “scuola Universal” specializzata nel genere. Nel clima politico conseguente la grande crisi, quando temi come sesso e denaro erano banditi dall’industria dell’intrattenimento, la Universal diventò portabandiera del genere e mise in cantiere una serie di sequel, per lo più affidati alla coppia collaudata Browning – Lugosi, sostituito a un certo punto da Lon Chaney Jr:
La figlia di Dracula, Il figlio di Dracula, La casa di Dracula
Se la ripetizione non può che affossare un mito, esso trovò però una fonte di rivitalizzazione nel 1938 in una versione radiofonica del romanzo di Stoker curata niente meno che dal giovane Orson Welles, non ancora approdato al cinema. Ma una vera resurrezione del vampiro si ebbe in Inghilterra alla fine degli anni Cinquanta in Inghilterra, dove la Hammer Films si riappropriò del personaggio, riportandolo in Gran Bretagna e intrecciandone la storia con quella di Frankenstein.
La maschera di Frankenstein (1957) e
Dracula il vampiro (1958) sono diretti da Terence Fisher e hanno come protagonisti Christopher Lee e Peter Cushing. L’atmosfera è quella del romanzo gotico, vittoriano, i vampiri non sono più esseri malinconici, come per Murnau, ma sono sensualmente e platealmente assetati di sangue, seducenti e violenti allo stesso tempo, tangibile minaccia per la società inglese, a partire dal suo nucleo fondamentale, la famiglia. Fisher lavora con efficacia sul colore e questo non può essere altro che il colore del sangue, tanto più rosso quanto più livido è il volto di Lee. Il cinema classico, con il suo gusto per l’allusività e le suggestioni è finito, sostituito dal gusto crescente della visibilità, l’orrore non lascia più molto alla sua immaginazione. Lo stile Hammer si protrae fino al 1970 con sette film, alternati a quelli di altri mostri: Le spose di Dracula, Dracula principe delle tenebre, Le amanti di Dracula
Troviamo poi due versioni diverse, ma entrambe molto valide dal punto di vista cinematografico, del mito: l’una in chiave parodistica
Per favore non mordermi sul collo (1967) di Roman Polanski e l’altra in chiave nostalgica, quasi di remake del film di Murnau, Nosferatu, il principe della notte (1979) di Werner Herzog, fino ad arrivare a quella che è una delle versioni più colte del celebre romanzo e certamente una delle più riuscite: Dracula di Bram Stoker (1992) di Francis Ford Coppola.

Il film di Coppola, che si mantiene fedele al romanzo, dal punto di vista della sceneggiatura, sostituisce però l’alternarsi di punti di vista di Stoker con una ricerca insistente di una continuità della visione, grazie alla quale l’intera pellicola è pensata quasi fosse un flusso continuo, ininterrotto, che appare come un nuovo modo di pensare il cinema e il mondo attraverso il cinema.
Questo nuovo modo di pensare affonda paradossalmente nel fare uso del cinema classico. Non solo abbondano le citazioni dei film sui vampiri precedenti (vedi l’ombra di Dracula che si muove autonomamente come quella del Nosferatu di Murnau o la celebre frase, mutuata da Browning “I never drink wine”), ma Coppola non esita a servirsi delle tecnologie avanzate per rifare il cinema classico, con le sue dissolvenze, chiusure a iride, la sua sintassi, ecc.; facendo del linguaggio-cinema il vero soggetto del film, nascosto dietro il plot, composito e polimorfo come un vampiro. In questo senso quest’ultimo viene esplicitamente identificato col cinema, inteso come sintesi vampirica di tutte le arti, immagine e desiderio oltre la morte, ma soprattutto come metamorfosi continua e inafferrabile.
Dracula nasce e muore in Transilvania; Bram Stoker è irlandese; il suo romanzo viene pubblicato a Londra, gli onori dello schermo gli vengono tributati prima in Germania, poi negli USA. In seguito avremo vampiri inglesi, italiani, spagnoli, francesi, turchi, messicani, giapponesi, cinesi, filippini, a dimostrazione della sua immortalità e del fascino che ancora riesce a suscitare, in quanto la forza di un mito sta nell’essere disponibile alle varie interpretazioni suggerite dal tempo e dalla storia.

Cristina Menegolli