Civiltà perduta

James Gray

L’incredibile storia vera dell’esploratore britannico Percy Fawcett, che agli albori del XX secolo intraprese un avventuroso viaggio in Amazzonia imbattendosi nelle vestigia di un’antica e avanzata civiltà, fino a quel momento sconosciuta. Convinto di aver trovato i resti della misteriosa “Città di Z” e nonostante lo scetticismo della comunità scientifica, che considerava le popolazioni indigene come meri “selvaggi”, l’ostinato Fawcett – sostenuto dalla devota moglie Nina, da suo figlio Jack e dal suo aiutante di campo Henry Costin – tornò più volte nella giungla brasiliana per dimostrare la veridicità delle sue ipotesi, fino a scomparire misteriosamente nel 1925. Un film d’avventura come non se ne fanno più che con un’accurata ricostruzione storica sa tenere viva l’emotività, celebrando etica ed epica, famiglia e sortita, assolo e coralità. Un cinema all’antica e insieme nuovissimo.

 

 

The Lost City of Z
James Gray – USA/Irlanda 2016 – 2h 20′

Più che un ‘adventurer’ alla Indiana Jones, il film di Gray è la storia di un’ossessione; un po’ dalle parti, per intendersi, di quelli che Klaus Kinski interpretava per Werner Herzog (Aguirre furore di DioFitzcarraldo). Pur senza passare sotto silenzio il ruolo del colonialismo e l’arroganza britannica nei confronti dei ‘selvaggi’, il cineasta fa degli scenari geopolitici d’epoca essenzialmente lo sfondo dell’avventura personale di un idealista alla ricerca del Graal: ricerca, in sé, importante quanto se non più del ritrovamento stesso. Per Gray, in ogni caso, la missione è un successo. Le immagini, splendidamente fotografate da Darius Khondji, hanno un rilievo lirico e tragico che non siamo più abituati a vedere sullo schermo: prive di ogni ovvietà ‘esotica’, manifestano un’autentica passione per la natura rinunciando a tutti i ritocchi digitali cui gli ultimi film di Tarzan ci hanno assuefatti. Ammirevole il classicismo della regia, a proposito del quale non sarà sacrilego evocare il nome di David Lean (anche se il regista britannico avrebbe evitato alcune ellissi narrative un po’ maldestre ). Trovare oggi un regista capace di mettere in scena un soggetto fuori-moda come le esplorazioni, dando al film una dimensione epica e immergendoti a tal punto nella storia che racconta, è una bella sorpresa…

Roberto Nepoti – La Repubblica

 

Girato in sontuoso 35mm, con ritmi che ricordano quelli di David Lean e George Stevens, e un soggetto che rimanda alle imprese impossibili nelle giungle di Werner Herzog, Francis Coppola e Mel Gibson, Civiltà perduta è il film più ambizioso e di largo respiro realizzato finora dal regista newyorkese James Gray, un affresco d’epoca, ambientato tra la Londra del primo novecento e le foreste dell’Amazzonia, più simile al recente The Immigrant (anche quello, in un certo senso, la storia di un’avventuriero/a) che a melodrammi metropolitani come Little Odessa, The Yards e Two Lovers. Ma, in comune con tutta l’opera di Gray (ebreo di origine russa – identità spesso esplorata nei suoi film), Civiltà perduta (…) ha l’interesse per l’incontro/scontro tra culture, e la volontà di lavorare sul cinema classico non in chiave citazionistica, post moderna, ma attingendo al suo linguaggio originale, con un particolare sensibilità per l’arco del romanzo. Un po’ come i film da regista di John Milius, anche se con valori completamente diversi. Esibendo un vistoso disgusto per qualsiasi forma di razzismo, classismo, sessismo, colonialismo e abuso ambientale, Civiltà perduta è infatti un film dai valori estremamente contemporanei, piuttosto anacronistici nell’Inghilterra di Arthur Conan Doyle, H. Rider Haggard e del loro amico Percy Harrison Fawcett, l’ufficiale, cartologo ed esploratore su cui si basa la storia…

Giulia D’Agnolo Vallan – Il Manifesto

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