Paradise

Andrei Konchalovsky


Un film che è un monito: storie di vita quotidiana durante la Seconda guerra mondiale per ricordare “che questo è stato”. Con grande rigore morale Paradise mette in scena la “storia” incrociata di tre personaggi che precipitano nella guerra e nella brutalità dei campi di sterminio: Olga, un’aristocratica russa emigrata e ora parte della Resistenza francese; Jules, un collaborazionista francese; Helmut, un ufficiale di alto rango delle SS. Intercalando brani dei loro destini (illusori quanto quel Paradiso che il nazismo prometteva) Konchalovsky ‘interroga’ la donna e i suoi due aguzzini con ‘interviste’ realizzate in un ipotetico tribunale, per far riflettere, ancora una volta, sull’assuefazione all’orrore.

LEONE D’ARGENTO PER LA MIGLIORE REGIA – VENEZIA 73a 

 

Rai
Russia/Germania 2016 (130′)

In un bianco e nero elegante e pastoso, Andrei Konchalovsky torna in Concorso a Venezia 73 con Paradise (Rai), un film che nel titolo espone il suo scopo, il suo senso ultimo: la ricerca per l’uomo di un paradiso misterioso e sconosciuto, che per alcuni è il tradizionale oltretomba tra gli angeli, secondo la propria fede, per altri è la realizzazione di un sogno in terra. Lo scopriamo solo successivamente che questo sogno è quello della perfezione razziale nazista, della pulizia etnica, dell’orrore che tante volte è stato raccontato al cinema. Attraverso tre interrogatori di un soldato tedesco, una prigioniera ebrea-russa e un poliziotto francese, entriamo a far parte dell’orrore dei campi di sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale. (…) L’intensità di Konchalovsky si fa opera d’arte nel momento in cui riscrive la Shoah come una convinzione, senza giustificare, ma adottando i punti di vista di vittime e carnefici. Perché alla fine, come ci dice l’eroina della storia, il male fluisce incontrollato, mentre il bene ha bisogno di un piccolo aiuto, un contributo che possa portare frutto. Con Paradise, Andrei Konchalovsky si conferma il maestro di un cinema difficile, ma capace di contribuire non solo all’arte ma anche alla persona, al bene.

Chiara Guida – cinefilos.it

Girato in uno splendido b/n e ambientato durante la seconda guerra mondiale, tra la Germania del Terzo Reich e la Francia di Vichy, nel momento in cui la follia del nazismo fa vedere i suoi effetti più nefasti – i rastrellamenti nei ghetti e i campi di sterminio – Paradise ha per protagonisti un poliziotto francese collaborazionista (Philippe Duquesne); una principessa russa arrestata a Parigi per aver cercato di proteggere due bambini ebrei (Julia Vysotskaya); un alto ufficiale delle SS propugnatore della Soluzione finale (Christian Clauß). In qualche modo i loro destini sono interconnessi, non fosse altro perché Konchalovsky li mostra frontalmente, a mezzo busto, come se stessero sostenendo un interrogatorio… Progetto sfacciato Paradise, che fa piazza pulita di ogni altro film sulla Shoah fatto finora soffermandosi non tanto sul supplizio delle vittime quanto sul loro risarcimento, sul premio che spetta a ciascuno di loro.

Teo Zampa – cinematografo.it

Andrei Konchalovsky prova a raccontare l’orrore da dentro, a camera fissa, senza spettacolarismi… costruendo tre diversi punti di vista sulla Storia e sulla Shoa. Il commissario francese Jules, collaborazionista durante la Repubblica di Vicky. Olga, la prigioniera russa andata contro le leggi razziali per aver nascosto due bambini ebrei ed essere entrata a far parte della resistenza francese. Il membro delle SS Helmut, figlio della nobiltà aristocratica, tenacemente fiducioso nel Paradiso di una nuova era germanica.
Bianco e nero in 4:3, assenza quasi totale di colonna sonora, con pochi inserti provenienti da radio, grammofoni ed echi blasettiani sulle note di Parlami d’amore Mariù. Siano nel 1942 e Konchalovsky con la consueta austerità che contraddistingue il suo cinema più recente sembra quasi ripartire dall’epicentro storico e ideologico su cui prendeva forma Francofonia di Aleksandr Sokurov: nel cuore della più grande tragedia umana vissuta dall’Europa c’è ancora spazio per un’ultima comunicazione tra le parti? Per un punto d’incontro sentimentale, artistico e morale attraverso il quale credere ancora nel Paradiso dell’uomo? Per fare del bene ci vuole sempre uno sforzo in più confessa Olga nell’epilogo di un’opera che propende in ultima analisi soprattutto nel libero arbitrio, in quella differenza dell’atto che è necessaria per rivoltarsi alle ideologie e alle apocalissi della Storia.
Paradise è però soprattutto un film di fantasmi – anche se non è affatto un film onirico – come quelli che si aggirano nel bosco e sembrano tormentare il nazista. Jules, Olga ed Helmut parlano infatti allo spettatore per quasi tutto il film in un altrove dopo la morte, che ha tutta l’aria di essere l’asfissiante anticamera di un tribunale. Raccontano non tanto gli snodi drammaturgici del loro strano triangolo che inizia a Parigi e si conclude nei campi di sterminio, quanto le loro confessioni, i condizionamenti e le certezze continuamente inceppate da un vecchio proiettore, che di magico non ha proprio nulla, ma anzi funziona come macchina documentaria, mezzo “pesante” attraverso cui costringere gli uomini a mettersi a nudo di fronte alle loro responsabilità.

Carlo Valeri – sentieriselvaggi.it

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