Un padre, una figlia

Cristian Mungiu

Romeo Aldea, un medico che vive in una piccola città di montagna in Transilvania, ha cresciuto la figlia Eliza con l’idea che al compimento del diciottesimo anno di età lascerà la Romania per andare a studiare all’estero. Il suo progetto sta per giungere a compimento: Eliza ha ottenuto una borsa di studio per frequentare una facoltà di psicologia in Gran Bretagna. Le resta solo da superare l’esame di maturità, una mera formalità per una studentessa modello come lei. Ma il giorno prima degli esami scritti, Eliza subisce un’aggressione che mette a rischio la sua partenza. Adesso Romeo è costretto a prendere una decisione. Ci sono diversi modi per risolvere il problema, ma nessuno di questi contempla l’applicazione di quei principi che, in quanto padre, ha insegnato a sua figlia. Mungiu ha l’ampiezza di sguardo del grande romanziere e la semplicità di stile del grande regista. Quando filma è come se prendesse un bisturi e dissezionasse il suo paese – la Romania post-Ceausescu – con la precisione e la crudeltà dell’artista.

CANNES 2016 – PREMIO PER LA MIGLIOR REGIA

Bacalaureat
Romania/ Francia/Belgio 2016 – 128′

CANNES – C’è voluto tutto il conformismo e il sinistrismo della giuria per negare la Palma d’oro a Cristian Mungiu e al suo Bacalaureat (l’aveva già vinta nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, il dramma sull’aborto clandestino nella Romania di Ceaucescu), riservandogli solamente il premio per la miglior Regia ex equo con Personal Shopper di Olivier Assayas .
In questo film sono passati trent’anni dalla fine della dittatura: il protagonista, Romeo, è un medico onesto e stimato nella città universitaria di Jasi. Lui e la moglie, già esuli all’epoca del regime, conducono un’esistenza moralmente irreprensibile: nonostante il fallimento del loro matrimonio (lui ha una giovane amante che comincia ad avanzare qualche pretesa) sono uniti dalla condivisione di un sogno prossimo a trasformarsi in realtà. La figlia Eliza infatti, bella, brava e intelligente, andrà a breve a studiare all’estero, in un prestigiosa università inglese, dove è già stata accettata. Deve solo ottenere un punteggio alto agli esami di maturità (il Bacalaureat del titolo). Sarà questa per lei l’uscita definitiva da una realtà rumena che i genitori hanno conosciuto bene e non vogliono gravi sulla sua esistenza.

 

Ma il destino si mette di traverso: a pochi giorni dalla prova subisce un tentativo di stupro. Ferite, shock, ospedale, il padre dubita che possa affrontare l’esame e soprattutto ottenere il punteggio necessario a staccare il biglietto per Londra.
Che fare? Il passato ritorna. Lui che si era rifiutato, che aveva preferito esiliarsi piuttosto che convivere col pantano morale dell’epoca Ceaucescu, si convince che l’unico sistema per salvare la figlia sia ricorrere a quella corruzione contro cui aveva lottato. Ed eccolo umiliarsi, cercare di avvicinarsi ai professori, attraverso un gioco di rimandi, di do ut des, tra pazienti e conoscenti importanti perché chiudano un occhio. Ciò rivelerà altre complicità, altre corruzioni, favori chiesti e negati. E’ la vecchia Romania che ritorna o forse non è mai scomparsa. Non andrà a finire bene.
Mungiu dispiega il suo teorema sulla paternità, sul fine che giustifica i mezzi, con una semplicità di linguaggio incredibile. Bacalaureat è uno strumento cinematografico perfetto: antefatto, tesi, contro tesi; semplice solo in apparenza, di quella semplicità che come diceva Berthold Brecht “è la cosa più difficile a farsi”. Evidente anche l’influenza (benefica) dei fratelli Dardenne, tra i produttori del film.

Giovanni Martini – MCmagazine 40

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