L'arpa birmana (Biruma no tatrgoto)
Kon Ichicawa - [b/n] Giappone 1956 - 1h 56'
versione originale sottotitolata

“Perchè tanta distruzione è caduta sul mondo?”

riduzione da KON ICHIKAWA - Il Castoro Cinema (Angelo Solmi)

     Nel luglio 1945 la guerra volge al termine: nel tentativo di sfuggire alla morte o alla prigionia, le unità giapponesi valicano i monti o si aprono la via nelle foreste di Burma per raggiungere la Tailandia. I soldati del capitano Inoue marciano cantando, accompagnati dall'arpa birmana del soldato scelto Mizushima. Questi, che conosce la lingua locale, viene mandato avanti e dà il segnale di via libera suonando l'arpa. Vicino al confine i giapponesi sono ospitati in un villaggio, ma poco dopo il villaggio è circondato dagli inglesi. Mentre il capitano Inoue è incerto se resistere o arrendersi, si sente l'arpa di Mizushima che suona "Home, sweet home!", (Casa, dolce casa!) e anche gli inglesi si uniscono al coro. La guerra è finita e i giapponesi vengono rinchiusi nel campo di concentramento di Mudon. Mizushima viene mandato in missione presso una guarnigione giapponese che rifiuta di arrendersi: quando essa viene distrutta, solo Mizushima sopravvive, gravemente ferito, e viene curato da un bonzo. Guarito, egli ruba le vesti al bonzo, si rade la testa e si mette in viaggio per raggiungere Mudon e i suoi compagni. Durante il viaggio vede qua e là i resti insepolti dei soldati nipponici caduti in battaglia; questo triste spettacolo gli fa una profonda impressione e, giunto presso Mudon, rinuncia ad unirsi ai suoi compagni e decide di dedicarsi alla sepoltura dei soldati del suo paese, caduti in terra straniera. Egli parte portando con sé un pappagallo avuto da una vecchia fruttivendola che frequenta il campo di Mudon. Nel passare un ponte incontra i suoi compagni che vi lavorano e tentano inutilmente di indurlo a rimanere. Quando arriva l'ordine di rimpatrio, il cap. Inoue dà alla fruttivendola un altro pappagallo, che dovrà dire a Mizushima di ritornare. Ma alla fine la fruttivendola porterà al capitano il pappagallo di Mizushima che andrà ripetendo: "No, non posso tornare" con una lettera esplicativa dell'ex soldato scelto...
L'arpa birmana è uno dei film più coerenti e unitari che siano apparsi sugli schermi, ma dal punto di vista narrativo, può essere diviso in tre parti. Nella prima il senso della guerra è immediato e violento, un clima di suspense angosciosa circonda i protagonisti. Nella seconda gli orrori del conflitto sono riflessi attraverso le personali esperienze di Mizushima. La terza, simbolica, è dominata dal misterioso gioco di richiami fra Mizushima e i commilitoni, e la tragedia si stempera in solenne elegia. Questo andamento narrativo, con una finale esaltazione del misticismo, ha fatto spesso parlare di un film religioso, il cui tema sarebbe il senso religioso della vita che riscatta l'orrore dell'esistenza, anche se comporta il dolore di una rinuncia. Una parte della critica occidentale, a suo tempo, si mosse in questa direzione, giungendo a chiedersi se la vocazione di Mizushima possa essere anche cristiana. L'esplicito significato religioso sarebbe confermato dall'idea dell'immortalità dell'anima, insita nell'opera, e dall'esigenza di un culto dei morti che onori le anime sopravviventi. Per questo un'altra parte della critica, quella laica, in particolare di sinistra, cadendo nell'equivoco, ha finito per vedere nel film due facce contrapposte: la prima di condanna alla guerra e che termina con un pacifismo umanitario, la seconda di una descrizione talvolta un po' compiaciuta di una crisi mistica, sicché la guerra, nel finale, sarebbe intesa quasi come ineluttabile fatalità. La solitudine della preghiera e la missione pietosa di Mizushima avrebbero un valore puramente negativo, antieroico, e infirmerebbero l'eloquente protesta della prima parte. L'intenzione del regista, in realtà, era molto lontana da queste affermazioni. Per lui l'aspetto religioso dell'opera ha un valore secondario, giacché Ne L'arpa birmana egli ha voluto esaltare l'uomo e la sua resistenza, attraverso una concezione della spiritualità intesa come amore (in quanto vincolo eterno nella vita e nella morte) e come senso di dignità terrena più forte dell'espressione del dolore. Mizushima non è un dio né un semidio, è un uomo che resiste allo sfacelo del mondo; quando tutti voltano le spalle a ciò che è accaduto e preferirebbero dimenticarsene, riaffronta gli ardui sentieri della guerra per riassaporarne, con straziante chiarezza, la tragica disumanità. Senza la lunga, sofferta conversione di Mizushima, senza poter afferrare, in tutta la sua dimensione, la portata del distacco dai compagni e della rinuncia alla patria, l'essenza della rivolta di un umile soldato contro la guerra, concretata non con uno sterile misticismo, non con preghiere, ma con un esempio positivo, non avrebbe avuto la grandezza poetica che il film le conferisce. Gli echi di grandi avventure liriche estranee alla cultura giapponese sono senz'altro casuali, ma non è casuale la capacità di Ichikawa di dare al film un'universalità artistica attraverso l'operazione di trasferire una vicenda attuale nel testo di un'antica favola, in cui coesistono un clima realistico e uno di leggenda. In questo clima ha un profondo significato la forza purificatrice della musica e alla musica, infatti, è legato gran parte del fascino del film. Già di per sé l'arpa ha l'importanza di un simbolo, che collega amici e nemici; tuttavia la musica (che è di tipo occidentale con scarsi elementi orientali) non è mai un semplice commento all'immagine, ma spesso è un'indispensabile integrazione dell'immagine quando, addirittura, non si sostituisce all'immagine stessa...
 

SCHERMI DI PACE
i giovedì del
cinema invisibile TORRESINO maggio-giugno 2003