Il bambino con il pigiama a righe (The Boy in the Striped Pyjamas)
Mark Herman – USA 2008 - 1h 33'

  Dopo più di 60 anni dal più grande e sistematico genocidio compiuto nell'età moderna, con sistemi industriali ed economia di scala, è difficile dire qualcosa di nuovo sull'Olocausto. Lo avevamo notato con Il falsario, bel noir ambientato in un campo di concentramento, e in fondo ce lo aveva insegnato già Primo Levi con Se questo è un uomo: per entrare nelle menti e nella pancia delle persone serve una storia, meglio se di genere, pur raccontando vicende vere e accadute. E così Mark Herman ha raccolto la lezione di questo rinnovamento, di fatto attuatosi con il Train de vie di Radu Milheanu a cui seguì La vita è bella di Benigni, e ha portato sullo schermo il lager come non l'avevamo mai visto. Ad altezza di bambino - e infatti non vediamo tetti e ciminiere, ma solo fumo da lontano e terra e uniformi da vicino - quella del figlio del comandante tedesco che sovrintende alla struttura di sterminio e del piccolo di otto anni con cui fa amicizia, al di là di una rete elettrificata e del filo spinato. Diventano amici e la tragedia più grande della Storia trova una dolcezza inenarrabile nel loro giocare a dama, nel sorridere del bimbo tedesco ingenuo che approfitta del fatto che il compagno di giochi non può manovrare le pedine per tentare di ingannarlo. Si sorride con il cuore stretto, perché c'è troppo peso in quegli occhi innocenti. Asa Butterfield cerca risposte sul perché, nella fattoria vicina alla sua nuova casa, tutti portino questo pigiama a righe così poco elegante.
Zac Mattoon O'Brien ritrova la gioia del gioco, ma uno schiaffo e il "tradimento" (naturale) dell'amico di fronte all'adulto lo riprecipita nel baratro.
Il bambino con il pigiama a righe è un gioiello così come lo era il bestseller (in Italia edito da Fabbri) di John Boyne, qui anche sceneggiatore, da cui è tratto. Lo stile, visivo e narrativo, è quello della fiaba d'infanzia d'avventura, la ricerca del piccolo antieroe del mistero da esplorare e risolvere e tutto è vissuto tra la sua innocenza e la colpa che macchia gli adulti, dal padre militare alla madre più ignava che ignara (una splendida e bravissima Vera Farmiga). Delicatezza e sensibilità lo rendono visibile a tutti - con una scelta di grande potenza espressiva le violenze rimangono fuori campo, la macchina da presa si ferma un muro, una porta prima - e non indulgono, però, a una catarsi consolatoria. Con l'onestà intellettuale che solo Walt Disney aveva (chi di noi ancora non piange per la mamma di Bambi?) questa favola nera tira le fila della Storia e delle storie, lasciando solo con la rabbia e l'impotenza lo spettatore, di fronte all'ultima immagine dell'ultima sequenza. Provate a rialzarvi o a parlare dopo i titoli di coda. Semplicemente, non ce la farete. Da far vedere ai vostri figli, ogni Natale. Per non dimenticare.

Boris Sollazzo - Liberazione

promo

Germania, anni '40. Bruno è un bambino di otto anni con la passione per l'avventura, che divora nei suoi romanzi e condivide coi compagni di scuola. Quando il padre, ufficiale nazista, viene promosso e trasferito, la nuova residenza della famiglia si trova a poca distanza da un campo di concentramento. Bruno, annoiato, trova una via di fuga per esplorare il territorio: oltre il bosco e al di là di una barriera di filo spinato elettrificato incontra Shmuel, un bambino ebreo affamato di cibo e di affetto... È una porta chiusa l'immagine su cui termina il film. Che cosa accada dall'altra parte, nell'inferno che sta al di là, è questione che riguarda l'immaginazione inorridita dello spettatore. Il cinema lo conduce fino a quel limite e lo lascia solo con la sua coscienza.

film del week-end precedente LUX - gennaio 2009