I cancelli del cielo (Heaven's Gate)
Michael Cimino - USA 1980 - 3h 36’
versione originale restaurata - sottotitlata


   Wyoming 1890, guerra della Contea di Johnson. Mentre un'associazione di allevatori ingaggia un esercito privato per scacciare, di fatto massacrandoli, gli immigrati europei visti come ostacolo al passaggio del bestiame, si consuma l'amore per Ella, splendida tenutaria di un bordello, da parte di due uomini attivi sui fronti opposti, il borghese in cerca di una nuova vita James Averill e il cowboy Nathan D. Champion.
È il canto del cigno della New Hollywood quest'opera folgorante e imprendibile che
Michael Cimino scrive, produce e dirige dopo la consacrazione quasi unanime di Il cacciatore. Film di frontiera più vicino alla grandeur di uno Stroheim che di qualsiasi altro collega della generazione a cui appartiene il regista, I cancelli del cielo è tanto il kolossal d'autore per eccellenza quanto il titolo che ha messo fine al desiderio del controllo totale restando, tuttavia, uno degli esempi più alti di quel cinema assoluto che è dato assumere per pochi, rari squarci e in sempre più sparuti casi. In breve, si tratta del luogo ideale in cui perdersi, da visitare e visitare ancora, nella consapevolezza di non poterlo conoscere fino in fondo, della connessione disequilibrata e genialmente imperfetta tra la grande tradizione americana e l'angosciosa cognizione contemporanea. È ancora un film di immigrati I cancelli del cielo come lo era Il cacciatore, una riflessione sul fallimento del sogno, reale e metaforico, non solo americano, una storia di disillusione e dolore in cui si agitano i fantasmi di un'umanità che sperimenta soltanto l'odio e la sopraffazione, dove anche l'amore non ha modo di librarsi al di sopra della violenza, del fango e del sangue. Il terzo lungometraggio di Cimino ha segnato un'epoca non solo per il clamoroso flop che portò sulla bancarotta la United Artists, anche se spesse volte si finisce col parlare soltanto di questo, ma soprattutto per il coraggio di una sontuosità mai più sperimentata sul grande schermo fino all'entrata a regime del cinema dei computer. A dispetto della sua matericità, nelle immagini strepitose di Vilmos Zsigmond si sentono le vibrazioni reali della polvere, dell'umidità, del sole, della neve sulle montagne, è un'opera che lascia a tutt'oggi - nonostante la versione di 216 minuti approvata dallo stesso Cimino - uno strano senso di insoddisfazione ad ogni visione, quasi di incompiutezza, come se l'unica veste possibile in cui goderlo possa essere soltanto quella ancora da venire (il rough cut era di 325 minuti, portati poi a 149 per la disastrosa uscita nelle sale).
Maestosamente geniale e rovinosamente anti-commerciale nella sua fluvialità,
I cancelli del cielo è la pietra tombale sull'utopia della New Hollywood, un contenitore di qualsiasi cosa, di qualsiasi genere anche, partendo ovviamente da quello su cui è fondata la stessa nascita della nazione americana. Le sequenze di ballo, anch'esse dicotomiche, si pensi alla composta girandola delle coppie nel giardino di Harvard nel 1870 fino a quelle degli immigrati all'interno dell'Heaven's Gate vent'anni dopo, suggeriscono un approccio di visione. L'unico da seguire, forse. Quello di una danza di morte, fastosa e terribile, che segna, proprio con la guerra della Contea di Johnson messa in scena, la fine del mito della frontiera e il passaggio dal west al western. Strano paradosso: di fatto inferiore a
Il cacciatore, I cancelli del cielo è il capolavoro del regista.

Marco Chiani - mymovies.it

scheda



promo

Università di Harward, 1870. James Averill e Billy Irvine, compagni di studi e grandi amici, si laureano nello stesso giorno. Entrambi di buona famiglia, scelgono però strade ben diverse. Averill vuole combattere per la causa della povera gente, e, lasciati i suoi beni e le ricchezze, diventa sceriffo in una contea scossa da lotte intestine tra allevatori di bestiame e immigrati che reclamano la terra. Irvine, invece, si schiera dalla parte opposta, diventando avvocato della potente associazione degli allevatori. Lo scontro tra i due vecchi amici, ora avversari, esplode quando gli allevatori decidono di far uccidere ben 125 persone. Tra queste c'è anche Ella Watson, una giovane prostituta francese, di cui è innamorato sia Averill che il capo dei sicari, Champion. La scelta è difficile per tutti ed è l'inizio di una guerra senza esclusioni di colpi. Rappresentati, questi venti anni, con l'intenzione chiara e continuata di dar corpo ad una saga, ad un'epopea, diversa certo dalle grandi pagine fordiane suI tramonto del West e sulle lotte civili, ma dalla quale anzi scaturissero precisi richiami alle colpe, da parte della classe politica e dei proprietari in quello scorcio di secolo. Per concretizzare i suoi desideri, Cimino non si è risparmiato: tutto è girato in estemi (a cominciare dalla affascinante sequenza iniziale realizzata appositamente in un college di Oxford), le scene di massa non si contano, i singoli personaggi, e le loro azioni vivono sotto il segno del grandioso, la macchina da presa avvolge uomini e case in fasci di movimento che scandiscono i ritmi solenni della storia.

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LUX - settembre 2016

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