La casa di sabbia e nebbia (House of Sand and Fog)
Vadim Perelman - USA 2003 - 2h 6'


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da La Stampa (Alessandra Levantesi)

       Uno dei punti di forza di Hollywood è l’inesauribile capacità di rinnovare i quadri. Entrato in gara per l’Oscar con due candidature importanti all’attore protagonista Ben Kingsley e all’attrice secondaria, l’iraniana Shohreh Aghdashloo, La casa di sabbia e nebbia è firmato da Vadim Perelman, quarantenne di Kiev rifugiato adolescente in Canada, dove è riuscito ad affermarsi come quotato regista di spot. E chissà se sarebbe mai passato al cinema, se non fosse stato colpito al cuore dalla lettura del pluripremiato bestseller di André Dubus III su cui si basa questo suo esordio. Il quale, guarda caso, parla del dolore dell’esilio e della difficoltà di dialogo fra culture diverse. Ex colonnello dello Scià, Behrani è scappato dall’Iran e vive con la famiglia in California, fingendo un’agiatezza che è lungi dal possedere. Per mantenere una facciata dignitosa l’ufficiale lavoro di giorno in un cantiere edile e di notte in uno spaccio, finché l’acquisto di una casa in svendita a un’asta giudiziaria non gli offre l’agognata occasione di sistemarsi. Situata di fronte all’oceano, che a Behrani ricorda l’amato Mar Caspio, la modesta villetta apparteneva a una cameriera trentenne con un passato da alcolista e da otto mesi abbandonata dal marito, che ne ha perso la proprietà per non aver preso atto delle ingiunzioni dell’ufficio tasse. Entrambi, Behrani (Kinglsey) e Kate (Jennifer Connelly), hanno un disperato bisogno di quella casa: per uno rappresenta una speranza di futuro, per l’altra significa l’ultima risorsa in un’esistenza allo sbando. Nel conflitto fra i due, incapaci ciascuno di capire le reciproche ragioni, si inserisce un terzo elemento: un’equivoca figura di poliziotta che intenzionata a fare del bene finisce con lo scatenare il male. Coadiuvato da un’ottima equipe, Perelman (anche sceneggiatore) conduce la storia sul crinale della tragedia in un clima di implosa suspense che attiene ai moti segreti dell’anima. In questa guerra senza vincitori, il regista non prende posizione, ma il film è permeato di una profonda pietas e gli interpreti sono talmente calati nella parte che, senza bisogno di spiegazioni psicologiche, il loro comportamento appare sempre coerente. Dello straordinario Kingsley basti dire che non si sa se è lui a costruire il personaggio di Behrani; o se è il personaggio a essere costruito su di lui.

LUX - febbraio 2004