da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Se avessimo a disposizione un solo aggettivo per definire
Che ora è laggiù?, film taiwanese di Tsai Ming-Liang
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da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Momento magico per il cinema orientale. Dopo le emozioni mistiche di Samsara di Pan Nalin, sugli scenari del Tibet, fra le tentazioni dell'anima e quelle della carne (lo scoop è che vincono le prime), ecco da Cannes 2001 Che ora è laggiù? del maestro taiwanese Tsai Ming-Liang, autore di film bellissimi e provocatori come Vive l'amour, Il fiume e The Hole. Anche quest'ultimo richiede la massima partecipazione dello spettatore: lunghi piani sequenza, finché la nostra mente non è entrata dentro l'interiorità della sequenza, personaggi in bilico sul loro destino, la desolazione quotidiana del «made in Taipei», la casualità dei rapporti umani che si fanno esi disfano. Si potrebbe dire: niente di nuovo sul fronte dell'esistenzialismo. Ma questo regista, sotto l'influenza di Antonioni, ha uno stile meravigliosamente personale e coinvolgente nell'esprimere l'inesprimibile delle nostre contraddizioni. A Taipei un ragazzo che vende orologi, ne cede uno regalatogli dal padre appena morto a una ragazza che sta per partire per Parigi, mentre egli resta a casa con la madre sconvolta dal lutto, che vede ovunque la reincarnazione del marito: ma il fuso orario di Parigi diventa per lui un incubo. E' un cinema che si distende in una dimensione diversa del tempo e dello spazio, con pochi movimenti, niente musica, molti silenzi, tante sospensioni del reale e solo i rumori che vengono da dentro. Citato Truffaut con un pezzo dei 400 colpi e una comparsata di Jean Pierre Léaud: pur non così perfettamente riuscito come i suoi altri, Che ora è laggiù? s'inerpica con meraviglia sulla strada più difficile dell'espressione: ed è un piacere (in)seguirlo. |
LUX - giugno 2002