Chinese Box
di Wayne Wang - USA 1997 - 1h 50'

 

da Cineforum (Luciano Barisone)

C'è sempre il senso dolente della perdita nel cinema di Wayne Wang, di qualcosa che manca e che non si può recuperare, quasi una parabola della ricerca di un'identità da parte dei cinesi d'America. In Chinese Box il gioco, seppur rovesciato (qui è l'inglese John a scoprirsi "perduto" di fronte ad un cambio epocale), si fa più scoperto e palese... Per Wang, a metà tra la cultura occidentale e quella orientale, il rapporto ombelicale con Hong Kong è sempre stato molto forte, molto più dei cineasti che dopo di lui sono emigrati altrove. Tanto che ha dato vita ad una filmografia dedicata per il novanta per cento all'esplorazione dei legami familiari, culturali, sociali, che apparentemente si facevano sempre più esili, ma che sotterraneamente continuavano ad esistere come radici immortali [...] In Chinese Box quelle intuizioni, pur mantenendo la sostanziale sincerità di allora, si fanno più mediate da un bisogno di rappresentazione secondo moduli accattivanti in funzione del mercato mondiale. Ma il risultato non cambia. Dietro le "recitazioni" non sempre all'altezza di Jeremy Irons e Gong i e a quella "ellittica" della brava Meggie Cheung, c'è il "disastro" delle emozioni che traboccano, delle cose che non si vorrebbero dimenticare, dei fantasmi di un ritorno impossibile. Corpi e luoghi di un film forse "imperfetto", ma di vera, sentita necessità.