Cous Cous (La graine et le mulet)
Abdellatif Kechiche - Francia 2007 - 2h 31'

Venezia 64°
Gran Premio Speciale della Giuria
(ex aequo con I'm Not there)

    Cous cous, del regista franco tunisino Abdellatiffe Kechiche, è uno dei film più sorprendenti degli ultimi anni. Visto a Venezia, ha lasciato un segno indelebile e un ricordo vivo. La novità dell'opera (la terza, dopo Tutta colpa di Voltaire e La schivata) sta nel riscoprire il «segreto» del cinema, ovvero (citando Godard) che «nella vita, come nel cinema, non c'è nulla di segreto, nulla da chiarire, bisogna solo vivere e filmare».
Sembra facile a dirsi. Ci vuole il tempo di una vita, quella di Kechiche e della sua famiglia, e il tempo per prenderne le distanze e trasformare quella vita in qualcosa di romanzesco, e cinematografico.
Cous cous racconta così la vita di una famiglia allargata franco-araba e di una comunità magrebina sulle rive del Tirreno marsigliese, in un piccolo porto di mare. Parte da suggestioni autobiografiche per inserirle in una trama metaforica, accoglie e abbraccia i ricordi per distenderli in una prospettiva più lunga. Lo spunto narrativo sa di metafora: un lavoratore portuale, padre di una famiglia numerosa che ha abbandonato per vivere in una stanza e frequentare una donna sola con figlia, viene licenziato. Invece di deprimersi, decide di trasformare un'imbarcazione, attraccata al porto, in un ristorante con specialità di cous cous di pesce. Per farlo ha bisogno dell'aiuto delle due famiglie, di moglie e amante, di figli naturali e acquisiti. Per riuscire deve accettare il conflitto che ne consegue.
Lontano dal «neorealismo magico» che trasforma la realtà in sogno, l'escamotage narrativo sprigiona la vita nel film, il suo coacervo indistinto in utopia e necessità. Kechiche libera la comunità magrebina e la Francia della provincia dai cliché in cui si è soliti raccontarli, mettendo in scena il conflitto in tutti i suoi aspetti, interni ed esterni, liberando i personaggi dalle loro gabbie. In quali film, ad esempio, si racconta il sentimento d'amore e la vita sessuale di un immigrato di prima generazione, proletario arabo, padre di una famiglia chiassosa e litigiosa, che lascia la casa senza troncare i rapporti, e rinnova la sua passione verso una donna sola con figlia? Quale film riesce, come fa
Cous cous e in una sola scena, a mettere a nudo il sentimento di razzismo culturale che contrappone diverse comunità di immigrati? E ancora come è ben detta la distanza abissale tra gli uomini che fecero l'impresa, immigrati di primo arrivo, e i loro figli e nipoti, ambientati e omologati, incapaci di programmare un futuro diverso, capaci solo di impedire quello dei genitori con la loro superficialità e sbadataggine? Per questo, e per cento altri motivi, Cous cous è un film nuovo.

Dario Zonta – L’Unità

    Il bellissimo film di Kechiche, autore della Schivata, narra di un anziano magrebino che cerca di aprire nel porto di Sete, periferia industriale del mondo, un ristorante etnico su un barcone, specialità il cous cous di pesce, anche per saldare i conti coi parenti. Ritratto di gruppo, famiglie miste litigarelle, bimbi sul vasino e ladri di moto. Soprattutto una richiesta forte di dignità, la denuncia del piccolo razzismo che serpeggia non solo nel Sud francese. Fedele allo stile-puzzle estremo che non fa sconti, il regista offre solo metà speranza, ma con una vitalità etica e una voglia sincera di comunicare che entrano nel cuore. È vincitore morale della Mostra di Venezia, dove la giovane Hafsia Herzi ha sedotto tutti con la sua danza del ventre: super cult.

Maurizio Porro – Il Corriere della Sera

 


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