Cuori estranei (Between Strangers)
Edoardo Ponti - Italia/Canada  2002 - 1h 37'

da Kataweb (Mario Sesti)

Un gran pianto, uno di quei pianti di mamma che l'hanno fatta grande, con il mento che vibra e gli occhi che si allungano e si assottigliano nel volto come ali di un albatros, è il momento migliore di Between Strangers (Cuori estranei, il film con il quale Sophia Loren, probabilmente l'attrice italiana più famosa di tutti i tempi, ritorna sul grande schermo per la regia di un proprio figlio. E' anche il regalo di una mamma ad un figlio che aspira a fare cinema, un regalo su cui pochi aspiranti registi possono contare. Anzi, nessuno oltre lui. E' anche la cosa migliore del film, presentato fuori concorso a Venezia 2002: dovevamo aspettarcelo come un destino ineluttabile?
Di destino e di madri (e padri) e figli, è completamente intessuto il film, ambientato a Toronto, una città che, per il fatto di somigliare molto ad ambientazioni metropolitane statunitensi, ha visto negli ultimi anni incredibilmente aumentare il numero di film che vi si girano, grazie alla notevole riduzione di costi rispetto a quelli americani.
Tre donne (la Loren, Deborah Unger, Mira Sorvino), di differenti generazioni, vengono seguite nel penoso maturare di cruciali crisi familiari e personali. La Sorvino, fotoreporter di fama, prende coscienza del fatto che la bambina dell'Angola, che ha mandato in copertina sul "Time", avrebbe potuto rimanere viva grazie a lei, invece che diventare famosa; la Unger incontra il padre, uscito di prigione dopo aver ucciso la madre in stato alcolico e 22 anni di detenzione, la Loren confessa al marito disabile che ha abbandonato un figlio appena nato, avuto prima di conoscerlo.
Visto che di relazioni familiari si tratta - dentro e fuori dalla storia e della produzione del film - ci deve essere anche qualcosa che madre e figlio si scambiano, qualche messaggio vicino alla confessione terapeutica deve attraversare e sfiorare le zone di sofferenza dei personaggi, presidiate da padri autoritari e decisionisti e madri con giganteschi sensi di colpa. Ma se c'è, non riesce mai a diventare la autentica materia del film. Che è puntellato dalle efficienti prestazioni dei comprimari (Pete Postlethwaite, Malcom Mc Dowell, Klaus Maria Brandauer), più che essere infiammato da quelle delle protagoniste.
Edoardo Ponti le lascia troppo spesso isolate in mezzo ad un cinema disadorno, nitido, partecipe ma incline al patetico. Il fatto che abbia usato il suo musicista di fiducia (Zbigniew Preisner), che il fato, nel finale, le faccia incontrare tutte e tre nello stesso aeroporto e soprattutto che ad ognuna di esse appaia un personaggio di bambina estraneo alla storia ma testimone di essa come uno dei personaggi del Decalogo, ingenera il sospetto, gravido di indizi, che il regista sia un grande amante di Kieslowski. Ma il grande autore polacco lo avrebbe esortato a stringere e snellire tutti gli attacchi di montaggio a leccare di meno l'inquadratura e, soprattutto, gli avrebbe ricordato che gli attori bisogna metterli in difficoltà e non solo circondarli di commoventi tragedie: anche se tra questi c'è la mamma.....

TORRESINO - settembre 2002