Il diavolo veste Prada (The Devil Wears Prada)
David Frankel - USA 2006 - 1h 49'


Venezia 63° - Fuori concorso

      C’era un tempo in cui ci si scandalizzava per la pubblicità occulta che passava sullo schermo. Oggi, già nel titolo, Il diavolo veste Prada esalta smaccatamente la capacità promozionale del cinema. Certo la moda non è il fumo, ma che “avveleni anche te” è indiscusso. Guardate Andy Sachs (Anne Hathaway), la brunetta acqua e sapone-taglia 42-jeans e maglioncini acrilici, che entra nella redazione di Runway e si trasforma da brutto (?) anatroccolo a cigno, sfoggiando Chanel e Jimmy Cho. Runway è la rivista di moda per eccellenza, la dirige Miranda Priestly (Meryl Streep), vera Crudelia dell’editoria, boss implacabile e impeccabile (nel suo look Prada), giudice ultimo degli stilisti di New York, aguzzina delle sue “Emily”, le assistenti d’ufficio.
Andy ha le referenze giuste come giornalista, ma come assistente è una catastrofe. “Non ha stile né senso della moda” è il commento più generoso nei suoi confronti e la frenesia dell’ambiente, l’ostentazione di corpi perfetti e abiti di firma non la mettono certo a suo agio. Si stupiscono anche il fidanzato e gli amici “hai trovato lavoro a Runaway? Era un colloquio telefonico?”.
Lei non si tiene istericamente a dieta, non usa scarpe coi tacchi, si presenta con la “gonna della nonna”, chiede
“Gabbana con due b?”. Sembra destinata a soccombere: fatica ad omologarsi con le “tacchine”, sussiegose “come curassero il cancro”, subisce i mordaci commenti delle altre assistenti e soprattutto di Miranda, che la vede inopportunamente grassa. Ma è proprio dal direttore che le arrivano gli stimoli giusti per tener duro e continuare. Quando Andy osa definire “roba” le meraviglie dell’alta moda, Miranda le sciorina una memorabile lezione di vita sull’influenza delle riviste sull’andamento del mercato, dalle passerelle fino agli outlet. Ed è dal quel percorso “esistenziale” che, inesorabilmente, è uscito anche il suo maglioncino azzurro (anzi, ceruleo)… La ragazza incassa il colpo, decide di adattarsi ad una filosofia di vita non solo cinica, ma di presuntuosa autoreferenzialità (“la moda è più grande dell’arte, perché ci vivi dentro”). Comincia col cambiarsi scarpe, poi si affida a Nigel (Stanley Tucci), lo stylist di redazione, per rinnovare del tutto il suo guardaroba. Cinderella va a palazzo e l’incedere sicuro di Andy diventa una dirompente sfilata di eleganza e fascino. All’adeguamento estetico corrisponde una sintonia d’animo e miss. Sachs diventa una frenetica top-girl, capace di risolvere ogni situazione apparentemente impossibile (perfino di recuperare, per le figlie di Miranda, il nuovo libro di Harry Potter prima dell’uscita), di accaparrarsi l’incondizionata stima del suo capo, di soffiare alla assistente-rivale il fatidico viaggio per le sfilate di Parigi. Ma c’è sempre un prezzo da pagare e l’altro lato della medaglia della scalata al successo è la perdita di una vera vita personale: con telefonino che squilla a tutte le ore, con i continui incontri di lavoro che azzerano ogni altro appuntamento (anche il compleanno di Nate, il suo disilluso fidanzato), Andy si ritrova presto abbandonata dai vecchi amici e costretta a rinunciare a Nate. Si può consolare solo con l’amorevole amicizia di Nigel (“quando la tua vita va in fumo è ora di una promozione”) e che le avventure da high- society che Parigi le riserva.
Le
coincidenze giocano comunque a suo favore. La sua simpatia e la sua avvenenza le aprono tutte le porte, il bel Christian (free lance di fama) la prende sotto la sua ala protettrice (e dopo un po’ anche nel suo letto), Miranda confida a lei le sue amarezze familiari (sesto divorzio). Sarà ancora Miranda a pronunciare le parole chiave per la carriera della sua assistente. Quel “tutti vogliono essere come noi” è una specie di schiaffo morale per le aspettative recondite di Andy. Se il diavolo veste Prada, il casual si addice al vero giornalista…
Macchina di spettacolo spiritosa, effervescente e dal ritmo perfetto (specie nella prima parte),
Il diavolo veste Prada consacra sullo schermo l’omonimo best-seller letterario di Lauren Weisberger (rche ha davvero lavorato come assistente a Vogue America) e conferma il furbo mestiere di David Frankel
film successivo in archivio, regista televisivo di Sex and the City. Cast perfetto, femmine-schianto, vestiti, scarpe e borse da far ingelosire ogni donna, un cinema di divertimento e di affilato sarcasmo. Mieloso finale a parte, davvero tutto ok. Ma, come dicono nel film, “ragazze, datevi una calmata”.

ezio leoni - Il Mattino di Padova  8 settembre 2006


cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2007