Dreamgirls
Bill Condon  - USA 2006 - 2h 11'

miglior attrice non protagonista (JENNIFER HUDSON)
miglior sonoro (M. MINKLER, B. BEEMER e W. BURTON)

da Il Messaggero (Fabio Ferzetti)

      A tre anni dal furbo e sopravvalutato Chicago, ecco finalmente un vero musical. Un film in cui non contano la confezione e il glamour ma le performance degli interpreti. Un mélo musicale più cantato che ballato dove però è la macchina da presa stessa a danzare, come negli anni d'oro. E il tono, il ritmo, l'ebbrezza, non sono imposti a posteriori da un montaggio frenetico come accadeva appunto in quell'abile "falso" che era Chicago ma scaturiscono da quanto accade in scena e dal ritmo interno al racconto.
Troppa grazia, perfino, per un pubblico storicamente diffidente nei confronti del musical come quello italiano. Eppure, con le sue otto strameritate candidature all'Oscar, Dreamgirls potrebbe incantare anche i non iniziati grazie alla bellezza delle canzoni (per una volta sottotitolate, almeno in parte), al fascino di Beyoncé Knowles e al richiamo esercitato dall'epopea della Motown, la leggendaria casa di Detroit che negli anni 60-70 impose in America il sound nero di artisti come Stevie Wonder, Marvin Gaye, i Temptations, i Jackson Five. E naturalmente Diana Ross e le Supremes, la cui storia scorre riconoscibilissima dietro quella di Dreamgirls.
Senza dimenticare la voce profonda della corpulenta Jennifer Hudson, la vera sorpresa del film. Non solo perché fino a ieri era una oscura cantante di Chicago dotata di una voce che copre quattro ottave, lanciata dalla serie tv American Idol (se vincesse davvero l'Oscar sarebbe forse la prima star tenuta a battesimo da una gara canora televisiva). Ma perché il film ruota su due centri in perfetto equilibrio. Da un lato la malleabile Deena Jones, alias Diana Ross (Beyoncé), abbastanza dotata, avvenente e tutto sommato anonima, nel fisico e nella voce, per esser plasmata dal suo boss e pigmalione (Jamie Foxx, un poco di maniera, forse il personaggio più romanzato rispetto all'originale). Dall'altro l'ingombrante, passionale, vulnerabile Effie White (la Hudson appunto), che perderà fama e amore perché troppo black, troppo integra, troppo importante per consentire al suo ambizioso scopritore di sfornare il perfetto prodotto "per tutti", bianchi e neri. Perdendosi un pezzo d'anima, ma conquistando gigantesche fette di mercato dopo decenni in cui ogni moda, ogni ritmo, ogni guizzo musicale inventato dagli afroamericani veniva rubato, edulcorato e riprodotto all'infinito dai bianchi.
Come si vede in questo film affollato di figure di contorno e di sottotrame (straordinario Eddie Murphy nei panni dell'istrionico re del soul drogato e sessuomane). Così affollato che lo sfondo sociale è concentrato in allusioni fin troppo rapide (Martin Luther King, la rivolta dei neri di Detroit, la foto di John Kennedy che campeggia a casa di una delle ragazze). Ma chiarissimo nella morale, espressa dal manager Danny Glover, stufo di vedere Jamie Foxx annacquare le canzoni per vendere di più: «Non puoi avere tutto». Vale anche al cinema. In fondo basta saperlo.

lo sfavillio del musical
i giovedì del cinema invisibile TORRESINO aprile-giugno 2007

promo

Vincitore di tre Golden Globe e di 2 Oscar, ricalcato sullo stile di A Chorus Line, Dreamgirls è un viaggio a Detroit dall'esplosione della soul-music alla nascita della disco, attraverso le vicende di un trio femminile stile Supremes e del loro cinico manager.
Il tono scaturisce con travolgente spontaneità da quanto accade in scena e dal ritmo interno al racconto. Lo slancio, la coordinazione, la melodrammaticità sono il massimo contributo della musica soul.