La fine è il mio inizio (Das Ende ist mein Anfang)
Jo Baier – Germania/Italia  2010 - 1h 38'

  Gli ultimi mesi di vita di Tiziano Terzani, grande giornalista e scrittore, che dopo essere stato condotto dalla sua professione quasi in tutto il mondo, spesso dove infuriavano le guerre, colpito da un male incurabile si era ritirato con la moglie nella sua casa in Toscana facendosi presto raggiungere dal figlio Folco, trapiantato a New York, per trasmettergli le sue più personali e profonde esperienze di vita. Una lunga, fitta serie di colloqui che il figlio, dopo la sua morte, ha raccolto in un libro intitolato La fine è il mio inizio, come spesso il padre, ormai prossimo alla morte, affermava. Da quel libro, il film di oggi, realizzato da un regista tedesco, Jo Baier, noto soprattutto per documentari e film televisivi, e co-prodotto, con l’Italia, da una società tedesca vista la lunga attività giornalistica in Germania proprio di Terzani.
Naturalmente, data l’origine del libro, hanno spazi predominanti i dialoghi, specie quelli che riescono a disegnare e ad approfondire il rapporto padre-figlio, non allontanandosi però mai da quella casa e dai monti attorno nonostante i tanti viaggi del protagonista nei Paesi lontani. Con questo senza togliere respiro al racconto perché l’accento è solo su quel rapporto tra un padre che or mai può limitarsi solo ad insegnare e un figlio teso ad apprendere fino quasi allo spasimo. In ambiti in cui, pur rinunciando alle cornici esotiche, si privilegiano gli esterni, l’aria aperta, la natura, chiamati a trasformarsi via via nella vera cifra di un film che, pur rifacendo si a un viaggio verso la morte, vuole essere ad ogni svolta una salda e ispirata meditazione sui misteri del la vita.
Ce li trasmettono, con intimo fervore, Bruno Ganz, il padre, e il nostro Elio Germano, il figlio.Due generazioni di allori a confronto, due storie professionali in apparenza distanti fra loro, ma che si equilibrano alla perfezione e ad dirittura si completano. Con finissime misure.

Gian Luigi Rondi – Il Tempo

  È certamente successo a tanti. Durante la proiezione di un film, la mente dello spettatore se ne va lungo strani percorsi che poco o niente hanno a che fare con le immagini che passano sullo schermo. Seguendo una logica per niente razionale, fatta di associazioni libere, suggestioni, raccordi misteriosi. Di solito si pensa che sia colpa di un’attenzione un po’ lasca ma sarebbe sbagliato generalizzare. Perché a volte è proprio la forza del film, l’intensità delle sue immagini o il mistero di certe situazioni che invitano lo spettatore a far lavorare la mente e la fantasia.
A me è successo vedendo
La fine è il mio inizio: a un certo momento mi sono trovato a pensare a problemi personali, a temi assolutamente privati che apparentemente avevano molto poco a che fare con la storia che Tiziano Terzani stava raccontando al figlio. Apparentemente... Ma dopo un paio di volte che la mia attenzione si spostava fuori dallo schermo, mi sono accorto che era proprio il film di Jo Baier a innescare quella «fuga». Mentre raccontava una storia, La fine è il mio inizio lavorava anche sul mio subconscio, sulla mia memoria. Non saprei dire esattamente chi o che cosa avesse acceso questa mia voglia di scavo nel profondo. Sicuramente non erano le battute del dialogo (che tra l’altro scontavano un doppiaggio di Bruno Ganz piuttosto irritante), forse poteva essere il modo personalissimo in cui l’attore spesso fermo su una sedia o su un divano muoveva le mani. O sorrideva attraverso una barba che invitava a essere accarezzata (cosa che invece nessuno nel film faceva mai). O il modo di inquadrare la natura di Orsigna e le nebbie che accarezzavano le montagne vicine. Non saprei. Sicuramente era il film stesso che invitava a scavare più a fondo di quello che apparentemente mostrava, indicando una strada che non coinvolgesse solo gli occhi o la mente ma anche il cuore e la fantasia e la memoria. Un cinema che non si fermava alla sua immagine di superficie ma che mi invitava a usarlo, a riplasmarlo, a farlo mio. Un cinema che spingeva a vive re oltre lo schermo e la sala buia. E ho pensato che forse anche Terzani sarebbe stato contento.

Paolo Mereghetti - Il Corriere della sera

promo

Tiziano Terzani, grande viaggiatore, appassionato giornalista e autore di libri di successo, al termine della sua vita densa di avvenimenti decide di ritirarsi nell'appartata casa di famiglia in Toscana. Terzani sente che è giunto al termine della sua vita e per questo convoca il figlio Folco, che vive a New York: gli vuole raccontare la storia della propria vita, l'infanzia e la giovinezza a Firenze, i tre decenni trascorsi come corrispondente dall'Asia per il Corriere della Sera e la Repubblica, e infine lo sconvolgente viaggio dentro sé stesso, quando a causa del cancro si congeda dal giornalismo e si apre a esperienze spirituali in Asia, soprattutto l'incontro con un grande saggio nell'isolamento dell'Himalaya, che diventano per lui l'esperienza decisiva. Attraverso i loro dialoghi, padre e figlio raggiungono momenti di grande intimità che permettono loro di sciogliere vecchie tensioni. Dopo la morte del padre, Folco spargerà le sue ceneri al vento dei monti della Toscana settentrionale e pubblicherà il libro come suo padre gli aveva chiesto: "La fine è il mio inizio".Dal bestseller Longanesi, un film di pacatezza, misura, pudore straordinari, con Bruno Ganz mattatore ed Elio Germano che si sobbarca il meccanismo dell'«odi et amo». Ma al di là del meccanicismo drammatico, un film cecoviano che spinge alla meditazione sulla vita e sull'uomo.

film del week-end precedente

TORRESINO - maggio 2011

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