Il gioiellino
Andrea Molaioli - Italia 2010 - 1h 40'

L'azienda agro-alimentare fondata da Amanzio Rastelli è considerata un vero e proprio 'gioiellino' del panorama economico internazionale. Ramificata nei cinque continenti, quotata in Borsa e in continua espansione verso nuovi mercati e nuovi settori, la società è però gestita a conduzione familiare. Amanzio, infatti, ai posti di comando ha messo i suoi parenti più stretti - il figlio, la nipote - e alcuni manager di provata fiducia, ma privi di una laurea. Tale amministrazione porterà il management ad affrontare sfide sempre più ardue e difficili da gestire: Rastelli e il suo team si vedrà costretto a contrarre debiti, falsificare i bilanci, gonfiare le vendite, chiedere appoggi politici, tentare operazioni di finanza creativa sempre più rischiose. Finché la voragine economica e finanziaria diventerà enorme e pronta a inghiottire tutto...

  C'è un'immagine - una sola - che fa venire i brividi in Il gioiellino, il film di Andrea Molaioli liberamente ispirato al crac Parmalat. È quella in cui il personaggio del ragionier Ernesto Botta (interpretato da Toni Servillo e modellato sulla figura di Fausto Tonna, collaboratore di Tanzi) viene portato via, nel finale, su un blindato della Guardia di Finanza. [...] Lì, nell'immagine che chiude il film, in quel misto di incredulità e inconsapevolezza, ma anche di oscura e confusa percezione della voragine in cui sta precipitando, il ragioniere di Toni Servillo acquista lo spessore tragico di un personaggio di Balzac. Ma solo lì. Per tutto il resto del film, ciò che colpisce sia in lui sia in Amanzio Rastelli, il personaggio interpretato da Remo Girone e ispirato direttamente alla figura di Calisto Tanzi, è la sostanziale inconsapevolezza con cui giocano sporco con i falsi in bilancio e con i trucchi della finanza dopata. Non c'è traccia, in loro, né della rapacità con cui Oliver Stone aveva disegnato gli 'squali' di Wall Street, né della spavalderia gaudente e cialtrona con cui Gassman e Tognazzi rappresentavano, in passato, il fascino indiscreto e chiassoso della borghesia italiana. I protagonisti di Il gioiellino sembrano reperti archeologici dell'Italia democristiana. Sono grigi, noiosi, abitudinari. Odorano di naftalina e di sacrestia...

Gianni Canova - Il Fatto Quotidiano

   La grande truffa della Parmalat in un film circostanziato e puntuale che evita le vie più battute ma non trova la chiave capace di dar vita ai tanti spunti riuniti. Né commedia né film-inchiesta, né saga aziendale né docu-drama, Il gioiellino vorrebbe aggiornare la mappa della Grande Provincia italiana e dei suoi silenziosi orrori che oggi parlano la lingua globale della finanza e di un malaffare installato ai piani alti del potere. Ma per raccontare il grigiore di questi stakanovisti dell'intrallazzo bordeggia in una storia a bassa densità emotiva malgrado le pennellate di colore prese dalle cronache. [...] Molaioli e i suoi sceneggiatori infatti cedono lo stretto necessario al gusto un po' ovvio delle battute ficcanti, della trama avvincente, del moralismo facile. Ma non ci danno neanche molto in cambio, e soprattutto non trovano un centro, un punto di vista [...] Tutto vero, come no, doloroso, documentato - e visto "da dentro". Ma per raccontare la new economy bisogna inventare anche un cinema più nuovo e deciso.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   Qualche volta si è stanchi, può perfino venir voglia di fare l'amore, di alzare lo sguardo dai bilanci truccati, di desiderare una ragazza giovane e bella. Ma è solo un attimo. Sul viso di Toni Servillo, il ragionier Botta de Il gioiellino di Andrea Molaioli, tale e quale al ragionier Tonna del vero crac Parmalat, il mestiere della truffa ha lasciato solchi indelebili, un misto di rabbia e di amarezza, l'alterigia ottusa di chi non sa tornare indietro. In quell'espressione, in quella totale incapacità di pentimento, c'è la denuncia di un grande difetto italiano. Servillo la sottolinea con lo sguardo, regalando alla sua galleria di personaggi nostrani, un altro, prezioso ritratto.

Fulvia Caprara - La Stampa

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La grande truffa della Parmalat in un film circostanziato e puntuale che evita le vie più battute: né commedia né film-inchiesta, né saga aziendale né docu-drama... I protagonisti del film di Molaioli sembrano reperti archeologici dell'Italia democristiana. Sono grigi, noiosi, abitudinari. Odorano di naftalina e di sacrestia. E sul viso di Toni Servillo, il ragionier Botta, tale e quale al ragionier Tonna del vero crac Parmalat, il mestiere della truffa ha lasciato solchi indelebili, un misto di rabbia e di amarezza, l'alterigia ottusa di chi non sa tornare indietro.

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