Julieta (Silencio)
Pedro Almodóvar - Spagna 2016 - 1h 39’



    Uscito già da un mese in Spagna (e accolto molto tiepidamente dal pubblico) Julieta, ultimo lavoro di Pedro Almodovarfilm precedente in archivio, approda a Cannes nella perplessità generale. Forse distratto dall'attività di produttore, dove ha mietuto grossi successi da Storie pazzesche fino al recente El clan, e confermando il tobogan ispirazionale che ha avuto il suo punto più basso nella peraltro divertente farsa Gli amanti passeggeri, il regista torna in una specie di voluta maturità ad un film di donne sulle donne. Ci sono tutti i personaggi, i luoghi, le situazioni, i ticks and tricks, i deus ex machina, le voci fuoricampo dei suoi lavori precedenti, ma nessun accenno alla trasgressione. È a suo modo un film raccolto, emblematico, quasi austero stilisticamente; eppure l'impressione è che manchi l'anima: Julieta lascia freddi, è come se il regista ci dicesse: adesso vi mostro un film alla maniera di… Almodovar. Ecco, manierismo puro, ripetizioni di salti emozionali e logici su e giù nel tempo, ma il messaggio non arriva, il genio della Mancha rifà sé stesso, non coinvolge, stanca.
Partendo da una situazione di per sé stessa poco realistica, la separazione voluta e protratta negli anni di una figlia dalla madre,
Julieta rappresenta il ritorno di Almodovar all'universo woman-only dei suoi più grandi successi. Anche qui tutto è "sopra la madre", o meglio su cosa parliamo quando parliamo di essere madre, e se è possibile capirne qualcosa prima di esserlo. Liberamente tratto da una novella del Premio Nobel canadese Alice Munro, Silenzio, il film è relocated in varie regioni spagnole, da Madrid all'Andalusia, dai Pirenei alla Galizia (sembra per motivi climatici: il regista dichiara in un'intervista che l'idea di girare per sei mesi in Canada non gli andava proprio e non riusciamo a dargli torto!).

Incontriamo Julieta (Emma Suarez) a 50 anni, che s'appresta a partire per il Portogallo col compagno Lorenzo. Ma un incontro casuale con la migliore amica della figlia che le dice di averla incontrata recentemente sposata e con due figli, e che lei invece non vede da tredici anni, la fa desistere. È lo spunto per un viaggio nel tempo che comincia 32 anni prima, quando la giovane Julieta, impersonata qui da Adriana Ugarte, durante un viaggio in treno sotto una tormenta di neve conosce l'uomo della sua vita, il pescatore Xoan; qualcuno si suicida, lei concepisce la figlia, un cervo lancia il suo richiamo nella notte. Intendiamoci, con la sua aria vagamente hitckockiana, questa è la scena più bella del film.
In una serie di flashback, il regista ci mette al corrente delle varie fasi della vicenda di Julieta: Xoan non è libero, ha una moglie in coma e forse un'amante scultrice, la tormentata relazione prosegue fino a che durante una tempesta Xoan scompare in mare. La figlia Antia reputa la madre responsabile dell'accaduto e comincia ad allontanarsi da lei fino al definitivo ghosting durante un ritiro spirituale sui Pirenei. Per anni Julieta le scrive delle lettere, le prepara le torte per i compleanni, solo alla fine una risposta arriverà…

Le attrici sono brave, il cameo di Rossy de Palma (tra l'altro in giuria a Cannes) estremamente azzeccato, non mancano momenti formalmente molto belli, i primi piani degli oggetti che spiegano i personaggi, l'uso del colore che rinvia sempre ad uno stato d'animo. In complesso però resta un'impressione di artificialità, il film sembra un teorema, un puzzle dove tutto o quasi si incastra ma non arriva allo spettatore.

Giovanni Martini - agosto 2016 - pubblicato su MCmagazine 40