Killer Joe
William Friedkin - USA 2011 - 1h 43'

Venezia 68 - Concorso

    

    Un soggetto alla Tarantino sviluppato attraverso un linguaggio con tutti i crismi della classicità. È la prima considerazione che viene da fare di fronte a questo sorprendente ritorno alla regia di uno dei grandi autori del cinema hollywoodiano, dopo anni di assenza dai grandi schermi, in cui ha lavorato per la televisione (CSI) e per il teatro. Con la freschezza, la cattiveria e la capacità di sorprendere di un giovane, il settantaseienne William Friedkin ci ha regalato una black commedy, in cui i generi noir e western si fondono in un affresco allucinante della famiglia americana.
Tratto dall’omonima piece teatrale del premio Pulitzer e sceneggiatore Tracy Letts, il film, ambientato in un selvaggio Texas, racconta la storia di cinque outsider balordi: Chris Smith (Emile Hirsch), piccolo spacciatore, per poter restituire una somma di denaro a dei malviventi locali, si accorda con il padre (Thomas Haden Church) e la matrigna (Gina Gershon) per far uccidere la madre e intascare così i soldi dell’assicurazione. Ma il killer, di professione poliziotto, (Matthew McConaughey) a cui si rivolge, richiede come deposito cauzionale i favori sessuali della sorellina Dottie. Inutile dire che le cose non andranno secondo le aspettative...
Dell’impianto teatrale Friedkin mantiene soprattutto i dialoghi, che si snodano magistralmente come in una orchestrazione musicale e le dinamiche tra i personaggi, nella contrapposizione tra chi rimane fisso nella sua parte e non sa adeguarsi ai cambiamenti, come Chris, il padre e la matrigna e chi invece è capace di dare una svolta alla propria vita, come Joe e Dottie. Mantiene anche l’unità di luogo, in quanto la casa degli Smith rimane il set centrale in cui si svolgono le scene madri del film, ma non in modo claustrofobico come Polansky in
Carnage, in quanto si concede delle incursioni nei sobborghi texani, dove ciascun personaggio compie la propria deriva di dannazione, creando delle aperture in grado di non far percepire l’origine teatrale del testo.
Ma è proprio la casa degli Smith (la banalità del nome non è casuale), che da spazio chiuso della famiglia, del quotidiano, seppur degradato, diventa luogo di minaccia, quando in essa, come in un esorcismo rovesciato, irrompe il Male, sia pur nelle fattezze dell’irreprensibile tutore dell’ordine, killer a tempo perso, Joe, cui un bravissimo e irriconoscibile Matthew McConaughey presta le movenze e il linguaggio di un gentiluomo del sud. Joe è una di quelle figure, care al cinema, che entrano in uno spazio e lo distruggono, è come un demone che viene a mietere il raccolto che gli spetta, dando vita al male che cova nel sottosuolo. E Friedkin è maestro nel creare un crescendo di tensione, in cui umorismo e violenza trasformano incessantemente le prospettive fruitive dello spettatore.
Con una regia impeccabile, che, anziché esibirsi, si mantiene quanto più possibile nell’ombra, a parte qualche concessione autocitazionista (vedi l’inseguimento dei due motociclisti a metà del film) e con una cura maniacale dei particolari, Friedkin sembra lasciare che siano i personaggi con i loro dialoghi e con le loro azioni a raccontarci la loro storia, basti pensare alla prima apparizione della matrigna, che apre la porta al figliastro esibendo la sua nudità, inquadrata spietatamente dal regista con un primo piano, che riesce ad imbarazzare anche lo spettatore; gesto trasgressivo che troverà la sua nemesi in una sequenza successiva in cui viene messa in scena la più incredibile fellatio che si sia vista al cinema. O ancora a come la connotazione di perdente di Chris sia ripetutamente sottolineata dal particolare del cane di famiglia, che abbaia furiosamente solo quando compare lui.
Friedkin l’ha definita una storia d’amore: “
Killer Joe is a Cinderella story, but the prince happens to be a hired killer. He's also a sheriff in the Dallas Police Department. Though the title and the plot suggest the dark side, I find it to be quite humorous”. E infatti, come in tutte le fiabe, anche questa si chiuderà con un “happy ending” in un finale delirante, in cui il gioco al massacro soffocherà le risate col sangue.

Cristina Menegolli - MCmagazine 31 - ottobre 2011