Le fils de Joseph
Eugene Green - Francia/Belgio 2016 - 1h 55’

BERLINO 66 - Orso d'oro

    Chi ha paura di Eugene Green? Perché relegare (la parola non è esagerata) nella sezione cadetta Forum un personaggio che è tra i più originali del panorama cinematografico contemporaneo? Perché non fare tesoro dell'esperienza di Locarno, dove il suo precedente film, La Sapienza, anche lì fuori concorso, non era passato certamente inosservato?
E dove potrà arrivare questo signore americano naturalizzato francese che dopo vent'anni di studio e di pratica del teatro barocco (Molière e Racine tanto per capirsi) ha deciso di applicarne i risultati al cinema con effetti sorprendenti? Anche perché, pur mantenendo gli stilemi recitativi de
La Sapienza (recitazione estraniata, brechtiana si sarebbe detto una volta, francese aulico, inquadrature frontali), Le fils de Joseph è un'opera molto più fruibile e divertente, con un finale a ritmo di vaudeville; una storia complessa e articolata, con un bonus extra: la incursione satirica nel milieu letterario-artistico francese (con cui evidentemente Greene, outsider per vocazione, deve avere il dente avvelenato). E mentre nell'opera precedente i riferimenti colti rimanevano nell'ambito dell'architettura, qui sono biblici e mettono a dura prova le capacità interpretative dello spettatore.
Il film è infatti diviso in cinque capitoli: Il sacrificio di Abramo, Il vitello d'oro, Il sacrificio di Isacco, Giuseppe falegname, La fuga in Egitto.
L'adolescente Vincent (Victor Ezenfis), il protagonista, è stato allevato con amore da sua mamma Maria (Natacha Regnier), che però si è sempre rifiutata di rivelargli il nome del padre. Maltrattato, escluso dagli amici (peraltro impegnati in un improbabile, forse simbolico, business di vendita di sperma su internet), passa il tempo nella sua stanza letteralmente "illuminata" da una replica del dipinto di Caravaggio: Il sacrificio di Isacco.
Quando il ragazzo però scopre che il padre è Oscar Pormenor (Mathieu Amalric), un famoso editore parigino cinico ed egoista, plurisposato e padre di altri figli, si introduce nel suo studio per vendicarsi e arriva quasi a tagliargli la gola con un coltellaccio in un'incredibile replica rovesciata del suo quadro feticcio. Le cose si complicano ulteriormente quando Vincent viene scambiato da Violette (Maria de Medeiros), musa ispiratrice e talent scout dell'editore, per un giovane promettente scrittore, scatenando l'avidità del padre che, non sapendo chi è, vorrebbe metterlo sotto contratto. Per un altro twist del destino, il ragazzo si imbatte all'uscita dello studio in Giuseppe (Fabrizio Rongione), fratello fallito e disprezzato di Oscar, a cui sta andando a chiedere un prestito per trasferirsi in campagna seguendo un suo sogno bucolico. Tra i due nasce una curiosa amicizia; passeggiano per Parigi (le ambientazioni sono sempre molto significative e ben fotografate, così come ne
La Sapienza lo erano quelle del Lago Maggiore e di Roma), visitano il Louvre. Ed è proprio qui, di fronte al Giuseppe Falegname di Georges de la Tour, la rivelazione: la paternità non è solo quella del sangue, ma anche quella della scelta e della presenza. Vincent porta Giuseppe a casa e si prospetta un embrione di famiglia basata finalmente sull'amore. Simbolica la frase del ragazzo: "Tu sei un uomo buono, insegnami ad essere buono". Invece della vendetta sul "vecchio" padre, la ricerca di un padre nuovo.
Quando i tre si recano a visitare la casa di famiglia dei due fratelli, dove invece è in corso un party mondano-letterario (l'adorazione del Vitello d'oro) dato da Oscar e Violette, le cose precipitano, con un finale quasi da film d'azione, con tanto di inseguimenti della polizia e addirittura l'apparizione di un elicottero e dell'asino Nenette (La fuga in Egitto)! Applausi.

Tecnicamente c'è un'altra eccentrica scoperta di Green: variare continuamente la dimensione dei personaggi uno nei confronti dell'altro; diventano giganteschi o lillipuziani a seconda di quello che dicono o si sentono dire. L'effetto straniante è di nuovo assicurato.
Le fils de Joseph è un film completo, con un cast di qualità forse anche per merito dell'attiva collaborazione dei fratelli Dardenne (ormai diventati una specie di nume tutelare di chiunque in Europa abbia le carte in regola ma non i mezzi per fare un buon cinema) e dovrebbe assicurare a Eugene Green un successo anche di pubblico.
PS: Per capire l'intelligenza del regista e la finezza nella conoscenza del francese (lingua peraltro impenetrabile agli influssi stranieri, basti pensare che chiamano l'AIDS "SIDA" e il computer "ordinateur"!), lasciatemi citare questo esempio: di fronte all'uso esagerato soprattutto da parte dei giovani dell'anglicismo "cool", lui si permette di mettere in bocca a un personaggio "ça c'est fresh"! Chapeau!!!

Giovanni Martini - febbraio 2016 - pubblicato su MCmagazine 39