Con
un titolo come Un
lupo mannaro americano a Londra,
più che mai esplicativo ma pure di subdola interconnessione nazionalistica
(di questo parleremo poi), il quadro fotografico d'apertura, con l'immergersi
nella piatta brughiera inglese tra le armonie di una accattivante
Blue Moon, rivela subito l'approccio
ironico di John Landis con la sua nuova fatica filmica dopo i successi
di Animal
House
(78) e The
Blues Brothers
(80).
Al loro apparire i due amici protagonisti scendono da un ospitale
furgone di pecore (!) ed il pastore augura loro un profetico e lugubre
"in bocca al lupo". L'atmosfera resta serena mentre Jack e David si
incamminano, parlando di ragazze, ma all'arrivo al pub de "L'agnello
macellato" il clima si incupisce, gli avventori si trincerano dietro
l'incomunicabilità e le minacce così che, quando i due riprendono il
cammino nella notte (con la luna in cielo ormai piena), hanno un bel
cantare a squarciagola un turistico Santa Lucia: la tragedia è lì tra
le tenebre e la violenza rapida e sanguinolenta dell'uomo lupo lacera
le viscere dei malcapitati. Jack ci lascia la pelle, David, con
qualche graffio significativo, sembra solo psicologicamente turbato;
però già in ospedale sogna scorribande ferine tra i boschi, si
terrorizza con incubi di stragi zombie-militaresche di parenti e amici
e ben presto comincia ad apparirgli lo spirito (molto "corposo") di
Jack che gli prospetta l'odiosa verità sul futuro: David è stato
contaminato dai denti e dalle zanne del mostro (poi ucciso) ed alla
prima notte di luna piena ne farà propri, senza possibilità di scampo,
le sembianze ed i truci appetiti.
Ed infatti il cupo destino piomba su di lui, non può farci niente
neppure l'amore di Alex, la premurosa infermiera che ha conosciuto
all'ospedale: mentre l'ora fatale si avvicina e la colonna sonora
vomita un beffardo
Bad Moon Rising, il corpo di David si deforma
animalescamente, si correda di peli ispidi, unghie e denti aguzzi, si
trasforma (ancora
Blue Moon) nel licantropo più orripilante e bavoso della storia dei
cinema. E più devastante anche! Le vittime si accumulano con spietata
disinvoltura e l'ultima notte a Londra di David-uomo lupo fa da
"evento moralizzatore" tra i frequentatori di un locale
cinematografico a luce rossa, punisce con drastica voracità l'ottuso
investigare del capitano di Scotland Yard e provoca luttuosi incidenti
a catena degni della routine dei recenti filoni catastrofici. La fine
si consuma nel buio sordido di una "dead end street": Alex fa appena
in tempo a sussurrargli un doloroso "ti amo", poi le raffiche della
polizia spengono l'esistenza bruta di David e lasciano il suo corpo
nudo e crivellato di colpi tra i rifiuti che ogni metropoli che si
rispetti nasconde nelle sue viscere.
Nella disperazione della presa di coscienza della propria situazione
David cita a Alex le analoghe esperienze di Lon Chaney jr. in
L'Uomo
Lupo
(George Waggner, 1940) e da quel film, nel proprio bagaglio di
memoria, ricava le informazioni utili sui prossimi sviluppi del
"caso". Tutto lo spazio storico della licantropia sembra racchiudersi
nella rappresentazione cinematografica; non servono più i mitici testi
di erudizione che accompagnavano gli "iniziati", da
Dracula il vampiro
a
Rosemary's Baby, così come lo spazio conoscitivo contemporaneo è
scettico a valicare i confini della cultura dei piccolo schermo ("se
un mostro si aggirasse nell'Inghilterra del nord lo vedremmo in
televisione"). La rilettura del tema dell'uomo lupo diventa più che
mai, per Landis, una rivisitazione del genere in chiave
unidimensionalmente cinematografica, badando a competere in effetti
scenici ed in sconvolgimenti emozionali, oltre che in digressioni
narrative di prosa e di psicologia. La progressiva decomposizione di
Jack nelle sue successive apparizioni è di una truculenza calligrafica
e la deformazione della struttura corporea di David è costruita con
tale precisione evolutiva da prendere un po' la mano al regista, che
la immortala con qualche fotogramma di troppo.
Ma i rinnovamenti sul piano stilistico-emozionale non si fermano agli
shock brutalizzanti e sanguigni dell'incubo nell'incubo e penetrano
con malinconia ironica e sconcertante nel tessuto caratteriale dei
personaggi tipo: lo zombie, che protesta gentilmente per la propria
condizione ("hai mai parlato ad un cadavere?... è una cosa schifosa")
o che annusa con dolcezza un fiore, resta forse la pennellata più
suggestiva, mentre David, che anche verso l'apice della tragedia
sembra aver voglia di burlarsi di se stesso e degli altri (pubblico
compreso), concede poco alla tenerezza dell'essere umano colpito da un
fatto crudele, preferisce la farsa (la spassosissima sequenza nel
parco) al dramma totale, si chiude in cabina telefonica per filtrare
il più possibile la commozione della propria disperazione e, disposto
all'apatia piuttosto che al suicidio, si attarda in un locale
cinematografico (a luce rossa) finché la "maledizione" non lo colpisce
di nuovo.
Maestro del cinema dell'eccesso Landis conduce il suo
licantropo-cinefilo ad una versione metalinguista del monito sociale
di
Lo squalo (Spielberg, 1975). In quel film era la bestia del mare e
delle spiagge (luogo "solare") che simboleggiava le angosce
dell'inconscio collettivo americano. Ora invece il lupo mannaro nelle
notti "lunari" sembra esprimere le paure coscienti del contrasto
cine-culturale tra vecchio e nuovo mondo. Nella gelida brughiera Jack
e David, guardando in macchina, recitano un laconico "credo che sia
davanti a noi" e la cinepresa diventa di fatto il mostro pronto a
colpire, bramoso non tanto di sangue quanto di spettacolo. Il cinema
americano a Londra (o meglio in tutta Europa, con la fobia subculturale verso I predatori dell'arca perduta) vuole mostrare
"prodigi" e riceve diffidenza quale lo Yankee al castello di Re Artù
che Alex legge a David, fa piazza pulita degli spettatori degeneri
delle luci rosse, risveglia i sentimenti romantici delle ragazze
britanniche, richiama una folla curiosa ed ingorda di emozioni, si fa
voler bene in fondo un po' da tutti, forse anche perché insinua nel
pubblico più disposto all'analisi lo stesso dubbio critico (verso il
cinema USA) che sgorga dalle labbra di Alex: "non so se in te mi piace
di più la tua fantasia o il fatto che sei terribilmente attraente".
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