La macchia umana  (The Human Stain)
Robert Benton - USA 2003 - 1h 46'


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da La Repubblica (Roberto Nepoti)

       Esistono vari tipi di macchie nella Macchia umana, il dramma per star tratto dal romanzo bello e crudele di Philip Roth: macchie sulla coscienza, sulla fedina penale, nonché macchie meno metaforiche di sperma sui vestiti della stagista Monica Lewinsky, citata all'inizio del film come coprotagonista di un colossale caso d'ipocrisia collettiva. E' una vittima dell'ipocrisia l'anziano professore universitario Coleman Silk, che dà le dimissioni perché accusato d'aver fatto uso di espressioni politicamente scorrette; il colmo per uno come lui che, dietro lo schermo della pelle bianca, cela un segreto custodito onde preservarsi dal razzismo altrui. Avviato al crepuscolo della vita, l'uomo incontra Faunia, giovane bellezza ossessionata da un suo dramma privato. Tra i due si accende la passione. Qui le cose iniziano a complicarsi, e per più di un motivo. A cominciare dal fatto che lo screenplay stenta a tradurre la complessità della storia narrata da Roth; pur rispettando fedelmente i dialoghi dello scrittore, lo sceneggiatore Nicholas Meyer non riesce a tradurre in corrispondenti visivi le parole che questi utilizza per legare eventi e piani temporali diversi. Così il veterano della regia Robert Benton si affanna a svelarci l'ultracomplessa personalità di Silk a forza di flashback melodrammatici, virati con tinte "d'epoca", mentre imbelletta con uno strato di trucco da prodotto hollywoodiano di serie A le situazioni più scabrose del libro. La faccenda s'incasina ulteriormente man mano che la narrazione procede. All'epilogo, che chiude l'incidente con cui si apre il film (un prologo bagnato di perturbante stranezza, che per un po' t'illude), fa seguito una molteplicità di finali con spiegazioni pleonastiche e irritanti, affidate a personaggi secondari. Se l'amour fou tra il vecchio intellettuale e la giovane selvaggia scivola rapidamente nel repertorio convenzionale, il danno è aggravato dall'accostamento Hopkins-Kidman, una delle coppie di amanti più inesistenti a memoria di spettatore, se non nelle pretese del marketing e dei rotocalchi. Però la (mancata) alchimia dei protagonisti non esaurisce l'insipienza del lavoro di casting: pur incontestabilmente bravo nella sua gigioneria, Hopkins è una scelta geniale al contrario, l'attore che chiunque riconoscerebbe come il meno adatto...

LUX - gennaio 2004