Magdalene (The Magdalene Sisters)
Peter Mullan
- Scozia/Gran Bretagna 2002 - 1h 59'

 
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   "Un film inerte sul piano drammaturgico" è questa la frase che brucia di più, a livello critico, nella polemica veneziana attorno a The Magdalene Sisters di Peter Mullan. La stroncatura stilistica è di Francesco Bolzoni su L'Avvenire e non si può non essere imbarazzati nel contraddire una "nostra" fonte così autorevole. La questione sta semmai non nella forma, ma nei contenuti: "storicamente falso" lo definisce sempre Bolzoni e allora occorre fare ulteriori riflessioni sulla "storicità" della fiction, su concetti come rappresentazione e verosimiglianza...
I conventi di Magdalene in Irlanda erano istituti cattolici gestiti dalle Sorelle della Misericordia. Ospitavano giovani donne lì destinate per uscire da un'esistenza precaria e/o peccaminosa. Secondo le informazioni fornite dalla produzione le ragazze arrivavano da famiglie ed orfanatrofi ad espiare peccati contro il perbenismo e la rigida morale d'Irlanda. Certo è che la segregazione che dovevano subire comportava un gramo lavoro nella lavanderia, nessuna retribuzione, un regime quasi carcerario, con poco cibo, svariate umiliazioni e violenze, nessuna speranza.
Questa è almeno la tesi che porta avanti Peter Mullan che dichiara di essersi a lungo documentato rimanendo sconvolto dalla brutalità "medioevale" dell'ambiente (e l'ultimo convento Irlandese ha chiuso nel 1996!), che ha affidato il ruolo di una suora comprimaria proprio ad una ex sorella della Misericordia, che ha trovato tutt'oggi un tale ostruzionismo al portare alla luce questa vicenda da dover trasferire le riprese dall'Irlanda alla Scozia, che ha avuto personali, amare esperienze consimili in realtà di volontariato sociale dirette da suore, che si è permesso di affermare, in tono accorato, che "il cattolicesimo deve riscoprire la compassione" e che occorre superare certi atteggiamenti "talebani" (con fare decisamente provocatorio)... Ma se accantoniamo le parole della conferenza stampa (che hanno scatenato, più della proiezione stessa, l'indignazione di alcuni) e torniamo ad occuparci del film, ci troviamo di fronte ad un racconto cinematograficamente asciutto e aspro, "orrido" non solo nel cupo incalzare di vessazioni e crudeltà, ma pure nella disperata solitudine che avvolge le protagoniste, lontane da qualsiasi spiraglio di salvezza.
Mullan ambienta la vicenda negli anni sessanta e prende a modello tre nuove recluse: Margaret, colpevole di aver subito uno stupro, e Rose, ragazza-madre, entrambe reiette dalle rispettive famiglie; Bernadette un'orfana scoperta in atteggiamenti discutibili, tali da "indurre in tentazione"! Il loro trauma da sradicamento non è nulla in confronto all'angoscia esistenziale che le attende: lavoro duro, proibizione di qualsiasi forma di comunicazione (tra le recluse e tanto più con l'esterno), umiliazioni e percosse. Le suore a cui sono affidate vengono rappresentate da Mullan come disumani aguzzini, il sacerdote preposto come un essere abietto e lascivo, le finalità educative travisate da un bieco bigottismo, posposte ad un'insana avidità di denaro e potere.
L'istituzione cattolica ci fa certo una magra figura, ma lo stile asciutto non ha pretese di documentario, le reiterate angherie, proprio nei liberisti anni '60, assumono il significato di sconcertante denuncia a qualsiasi residuo di arretratezza culturale (il "processo" iniziale a Margaret, in cui la musica sovrasta i dialoghi, assume un'emblematica universalità), il pathos di Mullan è spiazzante a tutti i livelli (a chi lo lodava per il suo pamphlet laico ha ribadito la sua personalità cattolica), la dinamica drammaturgica ha un impatto dirompente. Ciò che resta nello spettatore è imbarazzo, fastidio, angoscia... solidarietà. Il lieto fine scritto ad hoc per le protagoniste rende ancor più evidente la rappresentatività della rappresentazione, il valore simbolico di una narrazione in cui la verosimiglianza gioca tutta a sfavore di un cattolicesimo datato, ma fa vibrare di commossa partecipazione verso ideali di tolleranza e compassione. È l'obiettivo di Peter Mullan che sa di muoversi nell'ambito della finzione e di potersi prendere licenze anche provocatorie. Il Leone d'Oro non è un'offesa al mondo cattolico, ma un meritato riconoscimento ad un cinema intenso e significativo.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo - 8 settembre 2002

   LEONE D'ORO - 59° Mostra del Cinema di VENEZIA (2002)