Match Point
Woody Allen - USA/Gran Bretagna 2005 - 2h 04'

 


sito ufficiale

      Come si conquista un match point? Con abilità, freddezza e… fortuna. Nel tennis come nella vita, teorizza un Woody Allen poco incline al sorriso, più che mai lucido nel raccontare ambizioni, passioni e miserie del suo protagonista, emblematica “testa di serie” di un vivere civile ovattato nel lusso, ma saturo di ipocrisia e cinismo. Siamo a Londra, non più a Manhattan, e al di qua dell’oceano, per la raffinata cultura del vecchio continente, la colonna sonora non ha più il respiro ritmato del jazz, bensì l’ariosa melodrammaticità dell’opera lirica. E se la trama dei rapporti umani trova linfa drammaturgica nei riferimenti a Dostoevskij e Maupassant, il crudo “lieto fine” sembra farsi beffe di qualsiasi condanna morale, ben lontano dall’inesorabile senso di espiazione che aveva segnato le tragedie americane di Dreiser e Stevens (Un posto al sole). Allen dimostra di avere tutto sotto controllo, dall’impeccabile soavità degli ambienti alla saturazione intensa della fotografia (stavolta Remi Adefarasin), dall’incalzante tragicità del montaggio alternato agli arcani intrecci della sceneggiatura. Ed anche Chris Wilton (Jonathan Rhys Meyers), istruttore di tennis in un club esclusivo, sembra saper ben controllare i propri piani e le proprie amicizie; tra queste quella con Tom, elegante rampollo della ricca famiglia degli Hewett. È proprio l’interesse comune per la lirica che permette a Chris di introdursi in società, di conoscere la dolce Chloe Hewett, di ingraziarsi i suoi genitori. L’elemento disturbante in tanta preziosa armonia è la sensuale presenza di Nola-Scarlett Johansson (per lei una delle poche, sardoniche battute: «Gli uomini dicono che sono speciale» - «E lo sei?» - «Nessuno ha mai chiesto d'essere rimborsato»), fidanzata di Tom prima, amante segreta di Chris poi. Una passione travolgente che scombina la vita familiare e professionale di Wilton, la costella di inopportune telefonate e imprudenti appuntamenti clandestini, la scardina definitivamente con una gravidanza inaspettata. Dal soave gioco della commedia alla crudele architettura del crimine il passo è breve ed è solo momentanea la disperazione che tra un colpo di fucile e l’altro sembra attanagliare la coscienza di Chris, implacabile nel suo progetto.
Siamo ben lontani sia dai bozzetti sentimentali di
Io e Annie che dagli incerti consuntivi di Harry a pezzi, è facile il rimando a Crimini e misfatti, ma ciò che seduce in
Match Point è l’incalzante compromesso identificativo che in molti frangenti riesce, malignamente, a costruire col pubblico, è la pulizia formale che non si lascia scomporre né dalle passioni né dalla violenza (non una goccia di sangue appare sullo schermo), è la pacata quiete degli agi che inesorabilmente trova il suo punto critico (mirabile l’inquadratura che accompagna Chris mentre osserva Nola girovagare per il giardino sotto la pioggia e che anticipa il loro primo, “torrido” amplesso), sono le emblematiche psicologie dei personaggi descritte con precisi campi e controcampi ed essenziali movimenti di macchina, la meccanica raffinata dell’intrigo che riporta obbligatoriamente alla scena d’apertura…

«Succede, nel corso di un match, che la pallina urti il bordo superiore della rete e s'impenni per pochi decimi di secondo. Con un po' di fortuna, cadrà sul lato del campo che vi dà la vittoria. Ma può cadere su quello opposto e allora avrete perduto». La voce del prologo dà, fin da subito, significato alle scelte narrative e stilistiche di Match Point. Per Allen le polarità dell’esistenza non sembrano più essere amore e morte, ma ambizione e desiderio; alla fede viene lasciata solo una flebile, amara citazione, mentre s’insinua lo sgomento di come le vittime sacrificali possano trovare giustificazione anche nei conflitti del privato. Tra la lezione di Strinderg e un tributo a Patricia Highsmith (e ad Hitchcock), citando un classico come Rififi (noir senza speranza - in tv) e la versione in musical di The Woman in White (poliziesco old-britain - a teatro), il perno risolutivo, nella casualità del vivere, non può essere che un imprevisto colpo di fortuna. Forse questa trentacinquesima opera di Woody Allen avrebbe potuto chiamarsi net piuttosto che match point, ma più che nell’incertezza del caso, il senso del tutto sta in quel “punto risolutivo” così cinicamente conquistato. Nel malinconico sguardo di Chris si affacciano forse i turbamenti del rimpianto, ma neppure una furtiva lagrima.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  22 gennaio 2006





cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2006